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Volete il tavolo da pozzetto del Moro di Venezia in salotto? Fate la vostra offerta!

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moro di veneziaVolete comprarvi il tavolo da pozzetto del Moro di Venezia? O la penna del suo gennaker firmata da Paul Cayard? Questa è l’occasione giusta.

Mercoledì 4 luglio collegatevi sul sito di Aste Bolaffi (www.astebolaffi.it) per fare la vostra offerta. E provare ad accaparrarvi rarità e memorabilia delle barche di Raul Gardini. Le barche che hanno fatto la storia della vela e che, ancora oggi, sono le più amate dagli italiani.

SCOPRI QUI LA STORIA DEL MORO DI VENEZIA

Nella collezione di Gabriele Bassetti, membro dell’equipaggio del Moro V durante le sfide di Coppa America e comandante di vari Moro, ci sono alcune rarità. Come due mezzi scafi del Moro V in carbon look realizzati con particolari di recupero della coperta di poppa dell’imbarcazione tagliati per alleggerirla in vista della finale di Coppa America (lotti 214 e 219, basi €1.500 e €2.000), la penna del gennaker G46E con le firme dell’equipaggio capitanato da Paul Cayard (lotto 211, base €500), il tavolo del pozzetto del Moro di Venezia II, il maxi yacht varato nel 1983 con cui Gardini diede inizio all’avventura (lotto 218, base €2.500).

Ovviamente non si batteranno solo i memorabilia del Moro: sarà un’asta dedicata al mare, a tutti i suoi appassionati e ai collezionisti di strumenti nautici. Il catalogo, composto da 226 lotti, è ricco di spunti interessanti: si va dagli oggetti di design di Gio Ponti, come lo specchio raffigurante “Gli amori delle sirene” (lotto 193, base € 5.000) a strumenti nautici, modelli navali, manifesti, dipinti e libri, oltre a un insieme di memorabilia dei transatlantici: affascinanti arredi provenienti dalla motonave Augustus, un baule da viaggio con etichetta del Rex e una serie di cimeli delle navi Costa .

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Juan K e il battito d’ala del genio: dal Krazy K-Yote II al ClubSwan 36

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Il nostro racconto parte da un salone di Saint Tropez griffato Nautor’s Swan. Sono presenti giornalisti, armatori, uomini d’affari, personalità importanti del mondo dello yachting. Sono distratti, chiacchierano in maniera frivola, bevono vino. Davanti a loro c’è un uomo dalla chioma lunga brizzolata, alle sue spalle uno schermo proietta i disegni di una barca. A un certo punto quest’uomo perde la pazienza ed esclama: ” Per favore signori, sono certo che il vostro vino sia molto buono, ma questa barca sarà decisamente meglio“.

L’uomo si chiama Juan Kouyoumdjian, classe 1971 nato in Argentina, ed è, per distacco, di gran lunga il progettista più innovativo che la nautica abbia visto negli ultimi decenni. Ha appena presentato una barca che potenzialmente potrebbe rivoluzionare il modo di andare a vela, il ClubSwan 36, e giustamente pretende attenzione. Cambiamo scena, con un flashback lungo 20 anni.

BANANA REPUBLIC

Ci spostiamo a Cowes, Isola di Wight, siamo a due giorni dall’inizio dell’Admiral’s Cup 1999, quella che un tempo era la più importante regata d’altura per nazioni, un vero e proprio mondiale che nel suo menù aveva la regata mito del Fastnet. Juan Kouyoumdjian ha disegnato per il team francese una delle tre barche della squadra, l’IMS 50 Krazy K-Yote II (le altre due barche previste dalla regata erano i monotipi Mumm 36 e Sydney 40). Il Krazy K è una barca che potremmo definire “fuori di testa”.

Il Krazy K-Yote II. Si nota il profilo dell’albero alare sorretto solo dalle sartie volanti.

Ha un albero alare auto portante, senza crocette, passante, che si regge solo grazie a delle murate molto alte e a un complesso sistema di sartie volanti che oltre alla flessione ne regolano la torsione. Juan K ha studiato il regolamento IMS e ha notato che non prevede una casistica su un albero simile, ha trovato in pratica un buco del sistema e sa che i sistemi di calcolo non possono penalizzare sul rating questa barca, semplicemente perché non hanno immaginato che qualcuno possa inventarsi un albero simile. Nel warm-up della regata con vento medio e acqua piatta Krazy K-Yote II si rivela veloce come un colpo di fucile oltre che ultra competitiva in tempo compensato.

Il piano velico del Krazy, si nota la tripla serie di volanti e il retriver sulla volante bassa ricomparso sul ClubSwan 36

Il veterano dei giornalisti velici Bob Fisher definisce il Krazy come la barca a vela più rivoluzionaria dopo Australia II. I big team tremano, gli armatori italiani Pasquale Landolfi e Paolo Gaia presentano una protesta di stazza ufficiale. L’ORC vacilla, Juan K sostiene di avere sottoposto molto tempo prima il caso a Nicola Sironi (capo stazzatore ORC) e di avere avuto il via libera, ma nessuno si aspettava da un ragazzo di 28 anni una barca così competitiva e rivoluzionaria. Alla fine avviene il pasticcio: l’ORC ammette alla regata la barca francese ma le assegna un nuovo rating, molto penalizzante, la protesta dei francesi è furibonda: l’armatore Ortwen Kandler decide di ritirare la barca dalla competizione. Un furioso Juan K sulle banchine di Cowes definisce l’IMS come “Banana Republic“, ma nel momento stesso che pronuncia quelle parole diventa uno dei progettisti più famosi al mondo.

Vent’anni dopo quell’episodio, un pezzetto di Krazy K-Yoye II rivive nel ClubSwan36. Forse in pochi lo hanno notato, impegnati a sorseggiare del buon vino alla presentazione della barca, ma nel disegno del piano velico del nuovo 36′ firmato JuanK e Nautor c’è un particolare decisamente “Krazy”. Un retriver della volante che servirà, molto probabilmente, a provocare la torsione dell’albero, proprio come sull’IMS50. Da Krazy K-Yote II al ClubSwan 36, il genio perde il pelo ma non il vizio. In mezzo c’è una storia fatta di incredibili successi, come le tre Volvo Ocean Race letteralmente dominate dai suoi progetti, e clamorosi tonfi, come la scuffia di Rambler 100 al Fastnet del 2011 dopo la perdita della chiglia o il tragico incidente di Artemis a San Francisco nel 2013. Impossibile giudicarlo in maniera neutra, o lo si ama o lo si detesta. Ma una cosa è certa: Juan K non ha mai disegnato nulla di banale. Le barche comuni non hanno mai fatto la storia di nulla, quelle geniali nel bene e nel male la fanno sempre.

IL CLUB SWAN 36

Vi abbiamo parlato del concept generale del Club Swan 36 (QUI), il one design appena presentato a Saint Tropez da Nautor, ma le peculiarità della barca ideate da Juan kouyoumdjian meritano un ulteriore approfondimento tecnico.

Grazie anche a un interessante spunto offerto in un video tecnico da Vittorio D’Albertas e Pietro Pinucci di Quantum Sails Italia, ritorniamo ad analizzare nel dettaglio le caratteristiche di questo progetto.

I FOIL

Partiamo dal dato più eclatante, i foil a C. Si tratta di un’appendice unica, un semicerchio, che scorre dentro la barca in quello che realisticamente sarà un compartimento stagno. Un po’ in controtendenza rispetto al momento, quest’appendice sarà forse più efficace di bolina che in poppa. La sua immersione sottovento sarà ovviamente variabile in base all’andatura e all’intensità del vento.

Nelle immagini che ha presentato il cantiere si evidenzia che di bolina, probabilmente con vento medio, l’appendice andrà in completa immersione.  In questa situazione la C sarà completamente esposta all’acqua e fornirà una doppia funzione: opposizione allo scarroccio e spinta verticale. Ma c’è di più, secondo quanto ha confermato anche lo stesso Juan kouyoumdjian in occasione della presentazione a Saint Tropez, la forma dei foil e la possibilità di regolarne l’angolo di attacco, annullerebbe completamente lo scarroccio o addirittura lo farebbe diventare negativo, ovvero uno scarroccio sopravvento. Ciò implicherebbe prestazioni di bolina sensazionali, anche perché le appendici non sono l’unico elemento innovativo.

ALBERO E VOLANTI

Il particolare piano velico del nuovo Club Swan 36. Si nota un “richiamo” della volante all’altezza della crocetta.

Osservando il disegno del piano velico diffuso si nota l’albero a un solo ordine di crocette e le volanti che però mostrano chiaramente un elemento particolare, quello che sembrerebbe un retriver della stessa volante. Una volante che lavora all’altezza dell’attacco del gennaker, con un retriver che ha un attacco all’altezza della crocetta. A cosa serve? In sede di presentazione Juan K lo ha definito come “Qualcosa di complesso da spiegare in questa sede“, ma ha precisato che il rig “sarà molto versatile per permettere di adattarsi a un differente ventaglio di situazioni“. Un albero capace di una flessione molto importante quando sarà necessario depotenziare il piano velico, il che implica anche rande con un giro d’albero (ovvero quella porzione di vela che eccede rispetto alla direttrice verticale penna-mura) significativo, e con la possibilità concreta di lavorare in torsione.

Da cosa lo evinciamo? Il retriver della volane è un indizio importante. Se il tiro della stessa fosse solo sulla direttrice prua-poppa il retriver avrebbe poco senso o addirittura sarebbe controproducente.

Il disegno del ClubSwan 36 visto da poppa, si nota l’attacco delle volanti molto esterno sullo specchio di poppa.

Ma l’attacco delle volanti sembra essere nel bordo estremo dello specchio di poppa, la volante lavorerebbe quindi in diagonale, con un angolo di quasi 45 gradi rispetto all’asse prua poppa della barca. Questo di per se fa già si che l’albero nella parte alta abbia un minimo di torsione, ma inserendo un retriver che insiste all’altezza della crocetta, ovvero circa a metà albero, ecco che la torsione potrebbe interessare una porzione consistente del profilo. Torsione che aumenterebbe il twist della vela, conferendo quindi un angolo di incidenza maggiore alla randa. In pratica sarebbe una riserva di potenza non da poco quando la barca naviga in condizioni di vento medio o leggero. Il retriver infatti dovrebbe essere regolabile e in linea teorica con vento molto forte dovrebbe diminuire o perdere del tutto la sua funzione.

In attesa di vederlo navigare, e la curiosità è enorme, una cosa è certa: Juan Kouyoumdjian sconosce la banalità.

Mauro Giuffrè

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I foilo, tu foili, Pogo foila! Ma con un Mini 650 firmato Verdier

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In un periodo in cui tutti “foilano”, scusate il verbo ma pare si dica così, non poteva mancare il tocco originale di Guillarme Verdier. Il genio degli IMOCA 60 volanti che ha messo lo zampino anche nel mondo della Coppa America collaborando allo sviluppo del concetto degli AC75 per la prossima Coppa America, è al lavoro su un nuovo concept per la classe Mini 650, sul fronte prototipi, realizzato dal cantiere Pogo.

Di cosa stiamo parlando? Ancora è presto per dirlo, ma dall’unico disegno diffuso emergono chiaramente degli elementi interessanti. Un mini con prua scow, come quella di tutti i prototipi vincenti nell’ultimo periodo, ma dotato di foil a L già visti sugli IMOCA 60. Va detto infatti che già nella classe Mini si sono visti degli esperimenti in questo senso, come Arkema o con il prototipo dell’elvetico Simon Kostner, ma i risultati non sono mai stati del tutto quelli attesi. Obbiettivo del progetto sarà quindi quello di rendere la barca si performante e capace di produrre un certo lift, sollevamento, per aumentare le velocità, ma anche semplice da gestire, cosa essenziale in una competizione dura come la Mini 650. Difficile dire se vedremo questa barca all’opera già nella Transat del 2019, ma è possibile.

www.pogostructures.com

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Passerella CNB all’isola d’Elba tra regate, buon cibo, bollicine e barche da sogno

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La flotta CNB all’Isola d’Elba

Si è svolto per la prima volta in Italia, nella splendida cornice dell’Isola d’Elba a Portoferraio  il “Rendez-Vous 2018” del cantiere CNB, promosso da Oceanis Yachs, che da quest’anno commercializza il brand in Italia, e cha ha puntato forte sulla scelta di una location d’eccezione come l’Isola d’Elba. 

Al raduno, che si tiene ogni anno, hanno partecipato 15 imbarcazioni , CNB 60 , CNB 66 , CNB 76 e CNB 77 , per oltre 150 persone coinvolte come equipaggi. L’evento è stato “condito” dalle bollicine offerte da uno dei partner dell’evento, Thienote, in collaborazione con l’Hotel Hermitage che ha fornito un catering d’eccellenza . 

Un momento della regata

I due giorni di regate al largo della costa nord dell’isola, complice un tempo magnifico e il giusto vento, hanno garantito il divertimento di tutti gli equipaggi, grazie anche al supporto della Lega Navale, della Capitaneria e della Direzione del Porto di Cosimo dé Medici. A metà della prima giornata di regata sosta all’ancora in una delle più belle baie a Nord dell’isola , nel Golfo della Biodola per il pranzo, e regata di rientro nel pomeriggio. Nella suggestiva atmosfera del Piazzale De Lauger nel centro di Portoferraio si è svolta la cena di gala accompagnata da musica e fuochi d’artificio a celebrare la 10 edizione di questo bellissimo evento. L’allestimento è stato curato da Rossella Celebrini, coordinatrice dell’intero evento . In chiusura il saluto agli equipaggi con la premiazione, tra cui il premio speciale di Philippe Briand timoniere d’eccezione durate le regate. Partner dell’Evento anche Volvo , Incidence e North Sails.

www.oceanis.it

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Quando la barca canta. Tutta colpa di un fisico ungherese

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Vi è mai capitato di sentire, a certe velocità, una vibrazione apparentemente inspiegabile e non individuabile che arriva dal “ventre” della barca? E’ una cosa che può capitare soprattutto alle chiglie di forma trapezoidale, ma non solo a quelle, con un profilo d’uscita più abbondante. Probabilmente qualcuno di voi, sentendo questa vibrazione, se ne è rallegrato pensando che la barca stesse navigando così veloce da iniziare a “fischiare”.

Niente di più sbagliato. Non solo quel rumore è il segnale che la vostra velocità crescente verrà presto interrotta ma si tratta anche di qualcosa di potenzialmente dannoso, sul lunghissimo periodo, per la struttura della barca. A teorizzare questo fenomeno fu, a inizio ‘900, il fisico e matematico ungherese Theodore Von Kármán,1881-1963. Era un esperto di barche a vela? Non esattamente. Von Kármán studiava la fluidodinamica e in particolare una sua branca, l’aerodinamica, infatti collaborò nella sua carriera anche con la NASA e l’esercito americano. Teorizzò la cosiddetta “scia vorticosa di Von Kármán”, ovvero quel fenomeno caratterizzato dal distacco alternato di vortici dal bordo di uscita in alcuni corpi tozzi.

Il disegno, che non ha valore scientifico, esemplifica la teoria dei vortici

Per semplificare e rendere comprensibile il concetto: il bulbo trapezoidale di una barca a vela ha due facce, i vortici di uscita dell’acqua, quando entra in azione il “fischio”, si distaccano alternativamente da uno o dall’altro lato in maniera discontinua, creando una modifica della distribuzione delle pressioni attorno al corpo e la conseguente vibrazione. Turbolenza che poi colpirà l’elica e il timone, causando ulteriori “danni” all’avanzamento della nostra barca, per non parlare del fatto che, se la vibrazione è particolarmente pronunciata  verrà addirittura trasmessa alle sartie, all’albero e quindi alle vele, disturbando il flusso dell’aria.

In pratica credete di andare veloci ma proprio in quel momento iniziate a rallentare e soprattutto non fate del bene alla barca. Perché succede questo? Perché spessissimo, soprattutto in barche non pensate per la competizione (ma non solo in quelle) il profilo di uscita della deriva è piuttosto spesso e tozzo.

Il bordo d’uscita del bulbo con la leggerissima limatura

Qual è la soluzione per limitare il problema? Premettiamo che è una delle classiche cose da “Non provare da soli a casa”, ma occorre farsi aiutare da un esperto o consigliare dal cantiere che ha costruito la barca. Occorre limare, “tagliare”, l’uscita del bulbo, all’estrema coda e solo per pochissimi millimetri, fino a creare un angolo tra i 30 e i 45 gradi.

L’uscita del bulbo non sarà più perfettamente simmetrica, ma in questo modo i vortici si distaccheranno in misura maggiore da un lato e in maniera più continua, eliminando, o piuttosto diminuendo, le vibrazioni. In alcuni casi, si può, in aggiunta, applicare una sorta di piccolissima, parliamo sempre di millimetri, “prolunga” all’uscita del bulbo, ovvero una piccola sagoma di vetroresina che segue il taglio a 45 gradi e avrà come funzione quella di assottigliare ulteriormente il bordo di uscita della deriva.

Mauro Giuffrè

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Baltic lo fa custom: in arrivo il nuovo 68′ firmato Reichel / Pugh

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Quando il committente di quello che sarà questo Baltic 68 custom ha contattato lo studio Reichel / Pugh, ha chiesto prima di tutto una barca che possa navigare bene e a lungo in crociere di ampio raggio, con volumi interni adeguati a lunghi soggiorni a bordo, ma che abbia anche un’estetica autenticamente sportiva e che possa all’occorrenza ben figurare sui campi da regata. Con una serie di richieste simili era inevitabile che i progettisti puntassero su una costruzione in composito con altissimo uso di carbonio, per avere una barca nella quale il peso fosse controllato nel dettaglio.

Come raccontano i progettisti: “Lo scafo ha due timoni in composito, chiglia fissa, piano velico con predisposizione per una randa square-top che garantirà prestazioni eccezionali sul campo di regata senza dimenticare di garantire una navigazione sicura e facile durante la crociera. “

Dai primi disegni si nota una barca con una tuga appena accennata, non troppo larga, volumi di prua tirati ma non eccessivamente affilati, una barca che presumibilmente saprà navigare molto bene di bolina e non solo. Varo previsto nel 2019.

Lungh: 20,83 mt

Largh: 5,50 mt

Immersione: 3,85 mt

Dislocamento: 24.200 kg

Sup. vel. bolina 274 mq

Sup. vel. portanti 610 mq

www.balticyachts.fi

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Finot-Conq firmano un gioiello: ecco l’FC² 70, fuoriserie sportiva per girare il mondo

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Alcuni elementi sembrano ricordare le caratteristiche degli open oceanici in stile IMOCA 60, ma in realtà l’ FC² 70 di JFA Yachts, disegnato dal glorioso studio Finot-Conq, è una barca sportiva pensata per crociere intorno al mondo, costruita in alluminio con pozzetto e coperta in epossidica. 

Con lo scafo in alluminio e il resto costruito in infusione con epossidica, è stato possibile limitare il peso rispetto a uno scafo interamente in alluminio.  Per consentire l’accesso a molti porti o ancoraggi, questa barca ha una chiglia girevole che riduce il pescaggio da 4.4m a 2.05m.

Un tender di 3,4 m è tenuto in un garage nascosto da una porta posteriore girevole.
Alimentato da un motore da 180 CV, il 70 ‘FC² è dotato di 2 propulsori, uno anteriore e uno posteriore che facilita la manovrabilità con doppio timone. Gli avvolgitori sono idraulici
e lavorano sottocoperta. Albero e boma saranno in carbonio.

www.jfa-yachts.com

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Cosa c’è sotto? Tutti i tipi di chiglia a confronto

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Fluidodinamica. Con questa parolina magica possiamo riassumere buona parte degli studi scientifici sul mondo delle barche a vela e delle chiglie in particolare (anche se il campo di maggiore impiego di questa disciplina è l’aeronautica). La forma delle chiglie, delle lame di deriva e delle zavorre, ha determinato in maniera cruciale lo sviluppo delle barche a vela e la loro progettazione anche con casi eclatanti. Pensiamo per esempio al 1983 a Newport, quando le famose “alette” sulla chiglia di Australia II interruppero 132 anni di vittorie a stelle e strisce nell’America’s Cup grazie all’intuizione di Ben Lexcen, progettista della barca australiana. Ma è errato pensare che questi studi siano importanti solo per il mondo delle regate, anche quello della crociera è migliorato in maniera drastica grazie all’evoluzione delle chiglie. Barche più sicure, più stabili, con maggiore momento raddrizzante e capaci di navigare in maniera più efficace in tutte le andature, nonché essere più “ferme” anche all’ancora: il mondo della vela da crociera ha ricevuto un contributo indispensabile dalle evoluzioni progettuali sperimentate prima in regata.
In origine vi era la chiglia lunga. Sicura, un tutt’uno con lo scafo, solidissima, ma scarsamente efficiente in un ampio ventaglio di situazioni. Baricentro piuttosto alto, scarsa portanza nel vento leggero, poco raddrizzamento in quello forte, poca stabilità in poppa con vento e onda: per una serie infinita di motivi la chiglia lunga è stata superata dalla storia. Oggi se facciamo un giro in un cantiere tra le barche in secca vedremo sostanzialmente tre tipologie di chiglia: la pinna trapezoidale, tipica delle barche degli anni ’70-’80 e parte dei ’90, la chiglia con scarpone o a L e quella a T rovesciata. Se la trapezoidale oggi viene usata un po’ meno le altre due tipologie e le loro varianti sono realtà. Senza dimenticare ulteriori varianti come la canting keel o la lifting, o vero la chiglia basculante e quella retrattile.

PESCAGGIO CORTO O PROFONDO, QUALE SCEGLIERE?

Partiamo da un concetto: che differenze ci sono tra i sistemi appena elencati (T, L o trapezoidale)? Il posizionamento del baricentro è la differenza eclatante. In ordine crescente, a parità di pescaggio, quella ad avere il baricentro più basso è la chiglia a T, segue quella a L e infine quella trapezoidale. Se osserviamo una chiglia moderna da regata noteremo una lama di deriva affilata e sottile, al termine della quale è posizionato un siluro dalla forma molto rastremata. Più la chiglia è profonda, indipendentemente dalla sua forma, – o più il peso è concentrato in basso – più aumenta il momento raddrizzante e in maniera direttamente proporzionale maggiore sarà il pescaggio minore potrà essere il peso del bulbo per ottenere un obbiettivo di raddrizzamento. Ne consegue quindi che un requisito fondamentale di una buona chiglia è quello di avere il baricentro basso, sul versante delle barche da crociera, che hanno generalmente chiglia a L o trapezoidale, diventa quindi cruciale anche profondità del pescaggio. Se quindi vi state domandando quale chiglia scegliere per la vostra barca nuova nelle opzioni offerte dal cantiere, chiglia corta o lunga, se il vostro obbiettivo è navigare bene, comodi e in maniera efficiente, non abbiate dubbi: meglio la chiglia profonda, abbasserà tutto il baricentro della barca.
A cosa serve avere il baricentro basso? Indubbiamente a sbandare di meno, e non è poco. Ma anche a ridurre lo scarroccio e permettere di disegnare un piano velico più generoso e in ultimo, ma non certo per importanza, la barca sarà più stabile anche all’ancora. Chiglia più profonda è uguale a minor peso necessario in zavorra, quindi indirettamente tutta la barca peserà in maniera minore.

COME SI COMPORTANO I DIVERSI TIPI DI CHIGLIA?

Prendendo in esame la trapezoidale, quella a L e quella a T, ognuna ha punti deboli e punti forti, anche se in termini di performance pura non c’è dubbio che quella a T sia la più efficace. Ma la performance è solo un aspetto, nel variegato mondo della vela ce ne sono molti altri che contano molto e forse di più. La pinna trapezoidale per esempio è molto più semplice da costruire data la sua geometria semplice e risulta particolarmente resistente in caso di urti data la grande superficie d’attacco sullo scafo. Piuttosto tenace anche quella a L, mentre la T è certamente la più fragile in caso di urti, dato che spesso la corda della lama di deriva, ovvero quanto è larga (non spessa) la lama, è molto contenuta per migliorare la velocità.
La pinna trapezoidale, avendo un momento raddrizzante più contenuto, sottopone a sforzi minori la struttura della barca mentre con una chiglia a T o a L i carichi sono decisamente più importanti. Per questo motivo le imbarcazioni dotate di lama e siluro avranno caratteristiche costruttive particolari per assorbire i carichi imposti allo scafo dall’appendice e nella maggior parte dei casi costeranno molto di più.
C’è poi da esaminare un altro fattore importante, il materiale di costruzione. Quelli più diffusi sono piombo e ghisa, che hanno comportamenti e rese decisamente differenti.
Il peso specifico tra i due materiali è differente: quello della ghisa è minore, intorno ai 7 kg per decimetro cubo contro gli 11.34 del piombo. Che significa? Vuol dire che per raggiungere le stesse caratteristiche di peso serve più ghisa che piombo: di conseguenza la chiglia realizzata in ghisa, a parità di peso e di pescaggio con quella in piombo, avrà un volume maggiore e questo determinerà maggiore resistenza idrodinamica quindi generalmente una barca più lenta. Ma c’è un altro elemento a favore del piombo, la reazione agli urti. La ghisa non si deforma e un eventuale impatto verrà scaricato sull’intera struttura della barca, il piombo invece modifica la sua forma con un impatto violento e quindi, almeno in parte, ammortizza il colpo. In pratica se vi trovate a poter scegliere tra ghisa e piombo va preferito decisamente quest’ultimo.

Mauro Giuffrè

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Da oggi le barche da regata offshore hanno un “controllore” in più. L’italiana ENAVE

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ENAVE Ente Navale Europeo, dal mese di giugno, è entrato a far parte degli unici sei Organismi Notificati al mondo a poter svolgere il servizio di certificazione delle imbarcazioni per le regate d’altura.

Il World Sailing che si occupa principalmente di Olimpiadi, sovrintende – tramite le federazioni nazionali – anche l’organizzazione di tutte le regate del mondo e redige il Regolamento Internazionale di Regata.

Per quelle di altura esiste un’integrazione al Regolamento internazionale di Regata che si chiama Offshore Special Regulation (OSR). Questo regolamento disciplina sia la costruzione delle barche che la preparazione tecnica dei velisti. Tutte le barche che vogliono partecipare alle regate più prestigiose ed impegnative devono attenersi alle regole dell’OSR Structural Plan Review.

ENAVE è stato selezionato per revisionare e approvare i piani strutturali delle barche che intendono partecipare a regate offshore, e per accertarne la conformità agli standard internazionali ISO.

Il riconoscimento viene conferito esclusivamente agli organismi notificati in grado di eseguire valutazioni, e rilasciare certificati CE per la direttiva europea, sulle imbarcazioni da diporto e che hanno dimostrato grande esperienza con barche a vela con zavorra, gestiscono un sistema di gestione della qualità riconosciuto ISO e sono sottoposti a regolari controlli da parte del loro ente nazionale di accreditamento.

“Siamo davvero felici di essere giunti ad un traguardo come questo” – sono le parole dell’Amministratore Delegato di ENAVE Ente Navale Europeo Giuseppe Macolino, che prosegue dicendo – “un importante riconoscimento per un Organismo Notificato così giovane come il nostro. Siamo pronti a dare il meglio e a portare il nostro contributo anche alle riunioni di revisione dell’OSR Structural Plan e delle Offshore Special Regulation che toccano temi davvero importanti come la sicurezza in mare, argomento che a noi sta particolarmente a cuore”

www.enave.it

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Jeanneau da il benvenuto in “famiglia” al nuovo Sun Odyssey 410

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Novità in casa Jeanneau, il colosso francese annuncia l’arrivo in “famiglia” del nuovo Sun Odyssey 410 con il ritorno della firma di Marc Lombard. Una barca che è la terza delle novità arrivate in casa Jeanneau sul fronte Sun Odyssey  nell’ultimo anno, insieme al 440 e al 490. 

Con l’ingresso del 410 la gamma Sun Odyssey conta adesso sul 319, 349, 389, 410, 419, 440, 490 e 519. La nuova barca ripercorre, in maniera originale, le orme segnate da Philippe Briand con i 440 e il 490. Uno degli elementi che hanno contraddistinto le due barche citate, la rampa che dal pozzetto sale verso la coperta e la possibilità di ribaltare le panche del pozzetto per creare un’unica superficie d’appoggio, verrà riproposta. Un’importante novità estetica, analizzando i primi disegni diffusi, sembra essere una prua nettamente inversa che segue la tendenza delle barche sportive moderne che si ispirano agli open oceanici.

La tuga sarà quella familiare ai nuovi Sun Odyssey, bassa sul ponte e con un leggero scalino davanti l’albero. A poppa spazio a un leggero spigolo con la doppia funzionalità di fornire un appoggio alla carena e aumentare i volumi interni.

Lunghezza fuori tutto 12.35 m

Lunghezza scafo 11.99 m

Larghezza scafo 3.99 m

Dislocamento a vuoto 8962 kg

Pescaggio zavorra standard  2.17 m

Capacità carburante 195 l

Capacità acqua 330 l

Cabine 2 / 3

www.jeanneau.com

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Energy Observer, il futuro della navigazione eco è in Italia! Ecco dove ammirarlo

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E’ la prima barca al mondo alimentata con energie rinnovabili e idrogeno pensata per il giro del mondo. Ma prima di tutto, è un oggetto affascinante (che non consuma una goccia di carburante). Energy Observer è in mostra a Venezia fino al 15 luglio (e poi in tutta Italia), non lasciatevi scappare l’occasione di ammirare da vicino… il futuro.

Dopo aver fatto scalo a Kotor, in Montenegro e a Zadar in Croazia, Energy Observer, è arrivata a Venezia venerdì 6 luglio. La città dei Dogi è il primo scalo italiano e una delle tre più importanti tappe del 2018 del tour denominato “Odissea per il Futuro”. Il catamarano sarà ospite dell’Isola della Certosa con il villaggio omonimo, aperto gratuitamente al pubblico fino al 15 luglio. Uno scalo che costituisce anche, per l’equipe di Energy Observer, guidata dai francesi Victorien Erussard e Jérôme Delafosse, un’opportunità di scoprire le iniziative locali a favore del cambiamento ecologico.

“Sognavamo di venire a Venezia.” Ha detto Victorien Erussard, fondatore e capitano di Energy Observer. “La città dei Dogi è una tappa simbolica della nostra Odissea per il Futuro, siamo orgogliosi di aver percorso quasi 8.000 miglia utilizzando solo energie rinnovabili e idrogeno per raggiungere questa città, sulla quale pesano molte minaccia ambientali.”

Il villaggio Energy Observer: un’immersione nell’Odissea per il Futuro

Il progetto di Energy Observer è molto più che una semplice imbarcazione, è anche un sistema media che vuole sensibilizzare il grande pubblico sul tema del cambiamento ambientale. Per meglio condividere il tema il progetto Energy Observer si affianca a un’esposizione interattiva, pedagogica e totalmente digitalizzata che permette ai visitatori di meglio capire le sfide della transizione ecologica. Per lo scalo di Venezia, il villaggio è stato montato sull’Isola della Certosa con una nuova scenografia e dei contenuti inediti in realtà virtuale e con proiezioni a 360°. Il villaggio di Energy Observer è un luogo di incontri, scambi e scoperte che sarà aperto al pubblico dal 7 al 15 luglio, dalle 10 alle 18. Il team di Energy Observer presenterà ai curiosi tutte le tecnologie dell’imbarcazione e il modo in cui queste aiutano la lotta contro il cambiamento climatico.

LE PROSSIME TAPPE DI ENERGY OBSERVER
Bari dal 19 al 23 luglio
Messina dal 26 al 28
Stromboli dal 29 al 30
Salerno dal 31 al 2 agosto
Montecristo dal 4 al 5
Isola d’Elba (luogo da confermare) dal 6 al 9 agosto

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Oltre cento iscritti per l’associazione Swan Classic by Frers!

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La Swan Classic by Frers ha raggiunto e superato i cento iscritti testimoniando un entusiasmo e un desiderio di riconoscersi in una famiglia con gli stessi gusti nautici. L’associazione, fondata da Marietta Strasoldo armatrice di uno Swan 651,  e German Frers hanno definito i modelli che si possono considerare “classici”, in alcuni casi si tratta di barche di una particolare longevità, l’elenco completo è sul sito www.swanclassibyfrers.org, tutte con radici nei canoni degli anni 80.

Gli armatori di questi Swan avranno una prima importante occasione per stare insieme durante la Swan Cup organizzata per il prossimo settembre a Porto Cervo, dove alle barche Classic by Frers sarà dedicato per la prima volta un premio particolare. Le iscrizioni alla Swan Cup si chiudono il 31 luglio, per scaricare i moduli il download è sul sito dello Yacht Club Costa Smeralda.

https://www.yccs.it/en/regate-2018/info/rolex_swan_cup-256.html

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Beneteau ritorna “sportiva”: acquisita la maggioranza di Seascape

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Che colpo di Beneteau! Il super gruppo francese annuncia l’acquisizione della quota di maggioranza della slovena Seascape, cantiere nato nel 2008 che si è distinto per la produzione di piccole barche sportive progettate dalla matita del geniale Sam Manuard. I fondatori di Seascape,  Andraž Mihelin e Kristian Hajnšek, resteranno nella società con il 40%.

Un cantiere piccolo, ma con un fatturato nel 2017 di 4,2 milioni, ma con un’identità molto forte e un’idea precisa di barche. Dopo che Beneteau aveva momentaneamente deciso di non presentare novità sulla gamma First, l’acquisizione di Seascape sottolinea la volontà del gruppo di essere comunque presente nel settore delle sportive, anche quelle di piccole misura come i Seascape e chissà che adesso la gamma non venga “ingrandita” anche come metratura.

Attualmente Seascape produce quattro modelli, il 14, il 18, il 24 (LEGGI LA NOSTRA PROVA) e il 27. 

www.beneteau.com

it.thinkseascape.com

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Come funziona e a che serve la chiglia basculante, sicuri di sapere tutto?

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Al Vendée Globe 1996-1997 fu l’inglese Pete Goss a portare in regata la prima vera e propria canting keel, chiglia basculante, ma ovviamente molti esperimenti furono fatti anche tempo prima. Ma a che serve? La sua funzione principale è quella di variare, non solo aumentare, il momento raddrizzante. Viene spostata sopravvento sia di bolina sia alle portanti con vento forte, con vento leggero invece viene ricercato l’effetto opposto spostandola sottovento, quindi alternativamente si aumenta o diminuisce il momento raddrizzante a seconda delle esigenze.

 

Solo quello? Non esattamente. Inclinando la chiglia, la stessa espone la massima corda della lama di deriva in opposizione alla forza di gravità. Quando la chiglia è angolata ecco che la lama contribuisce quindi a contrastare la gravità e quindi a ridurre l’immersione della barca, ovvero a produrre un effetto “lift”, di sollevamento. Quindi avremmo a nostro piacimento barca meno sbandata con vento forte, barca più sbandata con poco vento, e in generale una barca meno immersa e asciutta rispetto a una con la chiglia in posizione centrale. Attenzione però, perché quando la chiglia viene angolata perde portanza e aumenta lo scarroccio laterale, le chiglie basculanti infatti lavorano sempre in coppia con delle derive verticali retrattili, canard, che vengono immerse a certi angoli di inclinazione della chiglia per ripristinare la resistenza allo scarroccio.

Fatte queste considerazioni viene spontanea la domanda: ma allora perché non si usa su tutte le barche di serie? La risposta è semplice: il suo sistema di movimento tra meccanica e idraulica è complesso e sottopone la struttura della barca a carichi maggiori, gli scafi devono essere costruiti in maniera più articolata e costare di più. Per tutte queste ragioni viene usata in regata, e in particolare sugli Open oceanici che fanno lunghi bordi sempre sulle stesse mura e non devono manovrarla in frequenti cambi di bordo.

Mauro Giuffrè

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PROVATA. Southerly 480, quando la barca è come un abito da sartoria

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Una barca da giro del mondo. Ecco in sei parole la summa del Southerly 480. Se ne vogliamo usare altre, vista l’estrema personalizzazione, la qualità del lavoro e dei materiali e il conseguente costo, possiamo dire che è la barca della vita. «I nostri armatori difficilmente ricomprano un Southerly, è successo solo due volte e una di queste è stato perché il precedente era bruciato in un incendio. Però non si comprano neanche barche di altri cantieri, dopo: semplicemente perché si tengono la barca che hanno, sono soddisfatti così», sigilla Sean Langdon, l’amministratore delegato del cantiere di  Marchwood, proprio di fronte a Southampton. Una sola nota a riguardo del cantiere: costruiscono meravigliosamente e la qualità del lavoro è percepibile anche dal visitatore più distratto.

Il Southerly è un cutter con pozzetto poppiero costruito in vetroresina con raised saloon che riesce ad avere un aspetto contemporaneo, elegante e filante, cosa non sempre scontata su queste dimensioni: su un 70 piedi inserire in modo armonico una tuga abbastanza alta per alloggiare un raised saloon è di sicuro più facile.

Al primo sguardo mette in evidenza le caratteristiche distinguenti dei recenti modelli Southerly (cantiere da un anno parte di Discovery Group insieme ai marchi Discovery Yachts e Bluwater Yachts): la fascia vetrata intorno alla tuga e le tre finestrature verticali all’altezza del pozzetto (in corrispondenza della cabina armatoriale).

L’impostazione è da blue water cruiser: pozzetto ben protetto, paramare belli alti, a parte i winch delle drizze (elettrici, come gli altri quattro delle scotte), classicamente posizionati sulla tuga, tutte le altre manovre sono rinviate vicino a ognuna delle due ruote del timone. La vera plancia di comando è comunque intorno alla ruota di sinistra, qui si trovano i comandi del motore, del bow e dello stern thruster e della chiglia basculante, che grazie anche alla doppia pala del timone porta il pescaggio a un metro.

Per mostrarmi quanto il sistema della chiglia idraulica da 5,5 tonnellate sia sicuro in caso di contatto con un ostacolo immerso, durante l’uscita a vela nel canale del Solent, Olly Love (un nome un programma), responsabile R&D del cantiere, ha puntato a cinque nodi uno dei bassi fondi sabbiosi segnalati in quell’area. Risultato: piccola vibrazione, chiglia sbloccata e nessuna conseguenza se non dover riportare giù la lama di deriva una volta superata la secca.

Sottocoperta, a prescindere dalla estrema luminosità garantita dalle numerose aperture, quella è garantita a tutti, l’esemplare provato ricalca, se ancora non si fosse capito, le necessità armatoriali. In questo caso la proprietà è di una coppia canadese che gira il mondo a vela per realizzare documentari turistici. Ha scelto quindi una configurazione con due cabine doppie alle due estremità, con l’armatoriale a poppa, e due bagni. Gli spazi sono ovviamente abbondanti, dati i volumi disponibili e i pochi vani voluti,  gavoni e stipetti sufficienti per portarsi dietro il guardaroba adatto a tutte le latitudini. Con in più qualche chicca da veri giramondo, tipo il locale climatizzato e con circolazione forzata, ricavato nel bagno a destra della discesa, dove mettere ad asciugare sul serio le cerate.

A sinistra della discesa, e posizionata a un livello più basso del salone rialzato, la cucina con pianta a L dotata di buone superfici di lavoro. Non manca una vera postazione di carteggio, che probabilmente non sarà mai usata per carteggiare sul serio visti i quattro display multifunzione Raymarine (che riportano i dati di navigazione, la battuta radar, la cartografia elettronica interfacciata con l’Ais e anche la funzione di media player, tv compresa) sistemati uno per postazione di timoneria, uno a riparo del dodger e uno al carteggio interno. Il prezzo di tutta questa meraviglia? Allineato con quanto detto finora: 695mila sterline più un altro 10 (o anche 20)  percento in funzione dell’allestimento e di ciò che si vuole mettere a bordo oltre alla barca pronta per navigare.

Lunghezza 14,98 mt

Larghezza 4,46 mt

Immersione 1/3,12 mt

Dislocamento 17.250 kg

www.adriaship.it

Giacomo Giulietti

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Bavaria, verso una soluzione positiva. Vi spieghiamo perché con cinque indizi

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bavariaLa crisi di Bavaria, uno dei principali cantieri europei di barche a vela e a motore, si avvia verso una soluzione positiva. Gli indizi sono almeno cinque.

– Il primo, la produzione (come vi avevamo anticipato qui) non si è mai fermata e le consegne delle nuove imbarcazioni sono proseguite secondo i piani.

– Secondo indizio: la presenza del cantiere ai Saloni di Cannes (11-16 settembre) e Genova (20-25 settembre) è stata confermata.

Terzo, sono state seccamente smentite le voci di una vendita del cantiere Bavaria Nautitech (società partecipata da Bavaria ma indipendente), produttore di catamarani, con sede in Francia.

– Il quarto segnale è che sono proseguiti i contatti con i progettisti per la realizzazione di nuovi modelli.

– E infine, voci interne al cantiere danno per imminente, entro fine luglio, l’annuncio di un nuovo partner industriale.

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Tutti i segreti della prima barca al mondo stampata in 3D (che è italiana e farà la Mini Transat)

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“Ma cosa stanno facendo questi qui?”, ci siamo chiesti mentre guardavamo la foto qui sopra. “Stanno costruendo una barca in cartone dipinto di nero?”. Niente di tutto questo: i ragazzi siciliani della start-up Ocore (Francesco Belvisi, Daniele Cevola, Agata Perlongo, Alessandro Buscemi, Sergio Milone) sono alle prese con un’altra ‘follia’. Quella che vedete è in realtà la sezione di prua di un Mini 6.50 realizzata con la tecnologia da loro perfezionata (che sfrutta un robot modificato per la stampa in 3D di grandi pezzi ad alte prestazioni) e rivestita successivamente con uno skin di carbonio.

Grandi volumi a prua, anche e soprattutto nella parte immersa per il Mini 6.50 dei ragazzi di Ocore. Altra particolarità è la svasatura delle murate vista già, tra le altre, sull’IMOCA 60 Hugo Boss: una soluzione per migliorare il profilo aerodinamico in navigazione e nel contempo ridurre le turbolenze sulle vele di prua.

Avete capito bene: i ragazzi stanno costruendo la prima barca a vela della storia stampata in 3D. Con un obiettivo ambizioso e importante: partecipare alla Mini Transat 2019 (la regata in solitario che va da Rochelle a Martinica passando per le Canarie). La barca, che parteciperà nella categoria dei Prototipi, sarà condotta dallo skipper romano Alessandro Torresani (“Un’enorme scomessa ma ce la stiamo mettendo tutta!”, ci ha raccontato) e batterà i colori del Circolo della Vela Sicilia (proprio come Luna Rossa).


TUTTI I SEGRETI DELLA “BARCA 3D”

Come funziona la stampa in 3d della barca? Lo abbiamo chiesto a Francesco Belvisi, Yacht designer e co-fondatore di Livrea Yacht (la società ‘madre’) e Ocore: “A monte del processo, c’è la preparazione del materiale: ovvero il risultato della fusione tra plastica e fibre di carbonio ad opera di una macchina. Questo composto sarà poi utilizzato dalla stampante 3D, che realizzerà delle sezioni che altro non saranno che il ‘core’ (l’anima interna) dell’imbarcazione. Queste sezioni verranno poi incollate tra loro: una volta che questa sorta di ‘scocca’ interna sarà completata, su di essa si procederà a un ulteriore rivestimento laminato in fibra di carbonio e resina epossidica in infusione sottovuoto che completerà la struttura dello scafo”.

I VANTAGGI
Quali sono i vantaggi del processo? “Con questa tecnologia siamo in grado di costruire oggetti di grande taglia (come una barca) ma con spessori molto sottili”. E quindi con pesi più contenuti. In più la stampa 3D consente un alto livello di definizione dei particolari con una possibilità pressoché totale di personalizzazione, a differenza dei sistemi di costruzione tradizionali.

A che punto è la costruzione del Mini 6.50 progettato dal team siculo?Bulbo, derive, timoni sono già stati realizzati insieme alle sezioni ‘demo’ della barca. Contiamo di varare l’imbarcazione per la fine di ottobre la barca finita così da potere iniziare i test che verranno fatti in coppia con un altro prototipo che avremo in gestione“.

La produzione dei timoni e delle appendici ha messo poi in risalto un altro fondamentale vantaggio del sistema Ocore: la velocità di produzione. Per una barca destinata a regate oceaniche, come un Mini 650, i tempi di produzione di un timone, adeguatamente leggero, affidabile e ben definito, richiedono quindi almeno una settimana, considerati i tempi di predisposizione degli stampi. Utilizzando la stampa in 3D, si riducono del 70 % i tempi del processo produttivo.

In sole tre ore”, scrivono in una nota i ragazzi di Ocore, “diventa possibile stampare una struttura autoportante pronta ad essere ulteriormente irrigidita con pelli in carbonio. Nello specifico realizza un elemento di cm 130 di lunghezza per cm 30 di larghezza e cm 3 di spessore, con parete esterna di 1 mm di spessore, dal peso complessivo di circa 1,4 kg, con struttura interna idonea a reggere le tensioni e le forze di taglio a cui è sottoposta. La stampa 3d è stata realizzata con strati dallo spessore di mm 0.6 con un materiale a base poliammidica caricato al 25% di fibre corte di carbonio.

La formulazione, che soddisfa egregiamente i requisiti strutturali dei timoni per Mini 650, è stata realizzata dal partner Lehvoss. Il completamento strutturale del pezzo avviene tramite stratificazione unidirezionale di carbonio e resina epossidica, per un peso complessivo di kg 1, seguita da finitura superficiale e verniciatura. E’ indubbio il vantaggio di questa innovativa produzione che, sfruttando l’automazione, ridice a soli due giorni il processo produttivo”. www.ocore.it

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Che novità! Dehler 30 One design, per velisti non convenzionali

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I Dehler non sono mai state delle barche convenzionali o banali, ma questa volta il cantiere tedesco si è superato. Per i suoi 50 anni il marchio, che oggi appartiene al gruppo Hanse, ha deciso di festeggiare con le “bollicine”, con una barca, ancora segretissima, completamente fuori dagli schemi, una chicca di innovazione. Se vi piacciono le regate lunghe in doppio tenetela d’occhio perché potrebbe fare al caso vostro.

Stiamo parlando del nuovo Dehler 30 One Design, una barca pensata per le regate d’altura e per essere condotta anche in solitario o da due persone. La firma è dello studio Judel/Vrolijk & Co che ha deciso di connotare in maniera netta il progetto.



Prua completamente inversa, svasature su murata e ponte, volumi di prua consistenti per avere grande potenza soprattutto alle andature portanti con vento forte, grazie anche a un obiettivo di dislocamento di appena 2500 kg. La barca sarà dotata di doppia pala di timone e ballast per sopperire alla mancanza di peso dato l’utilizzo in equipaggio ridotto. In ultimo sarà una barca anche eco, dotata di un motore elettrico retrattile.

Lunghezza scafo 9,14 mt

Lunghezza gall. 9,00 mt

Immersione 2,20 mt

Dislocamento 2500 kg

Zavorra 900 kg

Ballast 200 lt

www.nautigamma.it

 

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TEST: RS 21 Una grande “deriva” a chiglia. Con tante soluzioni furbe

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rs 21“Qua a Venezia funziona così: c’è uno che dispone della licenza per le barche-taxi e che la mette a disposizione di un armatore che ci mette la lancia, e poi ci siamo noi, gli ‘autisti’, che fanno il servizio. Volevi sapere quanto costa la licenza? Ostregheta, meglio che non te lo dica!”. A raccontarmi l’intricato mondo dei barcatassisti veneziani è il ragazzo che fa spola con la barca tra Piazza San Marco e l’Isola di San Giorgio, dove c’è la sede della mitica Compagnia della Vela.

Lì mi aspetta il nuovissimo RS 21, l’ultima barca a chiglia (6,34 m di lunghezza) di RS Sailing: le barche a chiglia non sono mai state il “core business” del cantiere inglese (che, è bene ricordarlo, è il più grande produttore di piccole barche e derive al mondo, con una media annua di 2.500 imbarcazioni sfornate e un fatturato di 12 milioni di euro), per cui sono molto curioso di toccare con mano che cosa si sono inventati.

“Non escono mai con una nuova barca”, mi racconta Aldo Rinaldi di RS Sailing Italia mentre mi accoglie alla Compagnia della Vela, “se non sono sicuri che sia davvero innovativa. La loro filosofia è semplice: se esco con un prodotto che segue il trend del mercato, non aggiungo nulla e rischio di fare flop”. Un modo di pensare che paga: basti pensare il clamoroso successo dell’RS Feva, dell’Aero e dei buoni risultati di vendite dei più recenti Cat 14 e Zest.

PER DISTINGUERSI
La barca mi attende ormeggiata al molo: è vero che si tratta di una barca a chiglia (sollevabile), con tanto di motore elettrico a scomparsa (opzionale), ma quello che vedo è un (bel) derivone. Mi colpisce la forma dello scafo e le grandi svasature sulle murate in stile Hugo Boss. “E’ il risultato dell’accoppiamento degli stampi” mi raccontano i ragazzi inglesi del cantiere: “volevamo una barca che si distinguesse dalle altre, anche dal punto di vista estetico”.

Prima di descrivervelo nel dettaglio, va detto che l’RS 21 è disponibile in due configurazioni, quella Race, più sportiva (che ho provato), e quella Club, pensata soprattutto per le scuole di vela. La differenza sta nell’armo: vele in Mylar siglate North Sails, con gennaker di 5 quadri più grande per la versione Race, gioco in Dacron, gennaker frazionato e la possibilità di montare anche lo spinnaker per la Club. L’albero è in carbonio.

E ora veniamo ai dettagli che mi sono piaciuti:

BARRA DEL TIMONE
La barra del timone è corta e bassa per permettere al timoniere di scavalcarla in strambata: anche in virata l’ho provata ed è comoda e agevole.

GAVONE
Il portello del gavone di poppa crea una superficie d’appoggio per il timoniere nelle andature portanti. La sua altezza migliora il volume dello spazio interno

SOSPENDITA SINGOLA
E’ situata in posizione centrale in modo che l’intera barca armata possa essere sollevata velocemente ed in sicurezza.

BOCCAPORTO DI PRUA
Il boccaporto di prua incassato consente al bompresso di rientrare completamente. E’ inserito nella coperta e consente il drenaggio dell’acqua su entrambi i lati. All’interno del pavone di prua trova spazio la batteria del motore elettrico (opzionalmente due)

BOMPRESSO LUNGO
Davvero lungo il bompresso, per aumentare l’esposizione al vento del gennaker e ottenere più spazio tra la bugna e lo strallo del fiocco per facilitare il passaggio del gennaker in strambata. Abbiamo abbattuto diverse volte tra le briciole veneziane e in effetti il gennaker passa che è una meraviglia.

CANDELIERI REMOVIBILI
Una soluzione che consente di sovrapporre le barche per il trasporto se necessario: in un container ci possono stare ben sei scafi infilati uno dentro l’altro! Ottima idea per ridurre eventuali costi di trasporti in ottica regate.

DOPPIA TORRETTA DELLA RANDA
Questo è uno dei particolari che più mi ha interessato: il circuito randa termina con una doppia torretta, per consentire la regolazione della randa sia al timoniere che all’equipaggio. Una vera comodità ad esempio con vento forte o quando c’è da cazzare velocemente la randa ai giri di boa. Anche lo strozzatore del paterazzo è posizionato davanti al box centrale per essere regolato da tutto l’equipaggio: questa soluzione mi è piaciuta meno perché secondo me è il timoniere che ha più degli altri il polso della situazione riguardo al passo della barca e deve intervenire sulla regolazione del backstay.

PANNELLO DI CONTROLLO DEL MOTORE
Il comando del motore elettrico Torqeedo è integrato nel box centrale per facilitarne l’utilizzo. Il sistema di sollevamento del motore Torqeedo incorpora un paranco per semplificare la movimentazione. Alzare e abbassare il motore è semplicissimo. Il motore elettrico ha un’autonomia di 10 miglia con una carica e ha una potenza pari a un 3 cavalli tradizionale.

MOTORE A SCOMPARSA
Quando il motore è su, non c’è nessun attrito perché la struttura del rivestimento in acciaio, posta sotto l’elica, assicura una perfetta aderenza allo scafo quando è in posizione sollevata. La piastra di chiusura dispone di entrambe le superfici lucidate per ridurre al massimo la resistenza. Unica mia perplessità: quando si tira su il piede, non rimarrà dell’acqua nell’alloggio del motore incassato?

CHIGLIA CON TAGLIA ALGHE
La chiglia ha un profilo largo per migliorare la portanza alle basse velocità, ed è dotata di taglia alghe azionabile dal pozzetto.

Aggiungo che l’armo non prevede il rollafiocco e il jib è dotato di garrocci in tessile: i ragazzi di RS mi hanno assicurato che la barca è stata progettata per avere il fiocco su anche in condizioni estreme.

LA NOSTRA (BREVE) PROVA
Ho navigato al timone per un breve periodo nei trafficatissimi canali tra San Giorgio e Piazza San Marco, in condizioni di vento medio (10-12 nodi) e mutevole in direzione prima che un temporale ci costringesse al rientro anticipato. A bordo eravamo in quattro, la barca si è dimostrata stabile e reattiva (fondamentale tra le bricole, dove devi virare di continuo) con grande capacità di accelerazione. La navigazione ha confermato le mie impressioni iniziali: l’RS 21 è un grande derivone ideale per chi ama il contatto con l’acqua. Utile per imparare (magari sotto la guida di un istruttore) ma soprattutto performance e adatto a regate monotipo. Sarà lui l’anti-J/70? Ad ogni modo, dal punto di vista progettuale, missione compiuta (ancora una volta) per RS Sailing. (Eugenio Ruocco)

www.rssailing.com/it

VIDEO – A BORDO DEL NUOVO RS 21

Questi i prezzi di listino dell’ RS 21, IVA esclusa:

  • Versione Club: 25.900 euro
  • Versione Race: 28.900 euro
  • Motore elettrico Torqeedo: 2.040 euro

I NUMERI DELL’RS 21
Designer Richard / Whitehouse / RS Sailing
Lunghezza 6,34 m
Larghezza 2,20 m
Pescaggio 1,38 m
Equipaggio 2 / 6 persone
Peso equipaggio 120 / 450 kg
Dislocamento 650 kg
Costruzione scafo Eco-friendly Composite
Chiglia Sollevabile con bulbo
Timone Removibile – Composito
Superficie velica 64,6 mq
Randa Race 16,2 mq
Fiocco Race 8,4 mq
Gennaker Race 40 mq
Randa Club 16,2 mq
Fiocco Club 8,4 mq
Gennaker Club 35 mq
Spinnaker Club 30 mq

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Addio a Liliana Pradel, era responsabile marketing del Marina di Varazze

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A soli 49 anni è mancata Liliana Molin Pradel, la responsabile vendite e marketing del Marina di Varazze, che da tempo aveva iniziato a combattere contro una grave malattia. Liliana era molto conosciuta e apprezzata nel mondo della nautica, perché dopo una breve esperienza in Fiat, aveva intrapreso una carriera di successo con il gruppo Azimut Benetti, ricoprendo ruoli di crescente prestigio e responsabilità, fino al 2014 quando è arrivata al Marina di Varazze, piccola località vicino a Savona, come responsabile del marketing e delle vendite. Liliana era un punto di riferimento per colleghi e collaboratori, grazie alle sue qualità umane e professionali da leader. Nonostante negli ultimi due anni stesse portando avanti la sua personale battaglia contro la malattia, non ha mai smesso di lavorare con energia e con passione. Da responsabile marketing e vendite del Marina di Varazze ha portato avanti progetti ed eventi legati al mondo della vela e delle regate organizzate nella cittadina ligure.

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