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Quando la tua barca fa la storia della vela ma non è storica

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Come vi avevamo accennato qui, il nuovo Codice della Nautica ha rivisto la classificazione delle imbarcazioni da diporto: tra le varie categorie, ci ha colpito quella che riunisce le cosiddette “Navi da Diporto Minori Storiche”. Ovvero, le barche con una lunghezza scafo maggiore di 24 metri, con stazza lorda fino a 100 tonnellate e costruite prima del gennaio 1967.

LE BARCHE CHE HANNO FATTO LA STORIA NON SONO STORICHE
In primis, riteniamo un’occasione sprecata l’aver esteso il concetto di “storico” esclusivamente alle barche più lunghe di 24 metri (da 10 a 24 metri le barche sono riunite nel gruppo “Imbarcazioni da Diporto”). La storia del diporto passa soprattutto per gli scafi più piccoli. Basti sapere che La Spina (nella foto sopra, tratta da http://www.bianchimarine.com), il primo 12 m Stazza Internazionale realizzato in Italia nel 1929, è lungo 21,47 metri (13,87 al galleggiamento): per la legge una barca che ha fatto la storia dello yachting non è una barca storica. Il che, lasciatecelo dire, è un puro paradosso. Forse a causa dell’assurdità di una lettura dell’art. 136 del Codice della Navigazione, che equipara in certi versi le imbarcazioni alle naviga diporto?

L’Arpège (1967) è stata la prima barca prodotta in grande serie

STANNO “SNOBBANDO” LA VETRORESINA?
Sperando che il legislatore tolga questo vincolo, c’è secondo noi un altro errore: la scelta della data limite per poter definire una barca storica. Non è un caso la scelta del 1967, l’anno in cui Michel Dufour lanciò sul mercato l’Arpège, ovvero la prima barca “in serie” che avrebbe segnato l’inizio della cosiddetta “nautica popolare” e dell’arrivo sul mercato della vetroresina. Ma è da lì in poi che inizia quello che noi abbiamo chiamato il periodo delle “plasticfantastic”, ovvero le barche in vetroresina che hanno contribuito alla “Golden Age” della vela moderna. In principio fu l’Arpège, poi arrivarono Grand Soleil, Hallberg Rassy, Beneteau, Jeanneau.

La vetroresina approdò anche in Coppa America nel 1987. Escludere dalle “storiche” il primogenito di Dufour, i Grand Soleil 39 e 43, il Jeanneau Sangria e tutte le altre barche di gran successo che dagli anni ’70 in poi hanno iniziato intere generazioni alla vela, sarebbe come non considerare un classico la mitica Fiat 500 in campo automobilistico. Un imperdonabile errore.

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La barca senza randa e senza albero è realtà. E farà il giro del mondo!

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Vi ricordate che polverone che aveva sollevato la barca da crociera di 60 piedi senza randa e “senza albero” di Daniele Vitali, il vulcanico progettista che ha firmato, tra gli altri, l’O’pen Bic, la deriva “anti-optimist” che ha fatto felici i ragazzini di tutto il mondo? “Solo teoria”, dicevano alcuni. “Una follia”, aggiungevano altri. “Aspettiamo di vedere questo sistema in azione”, consideravano i più cauti.

INTORNO AL MONDO SENZA RANDA CON “TRIPLO FIOCCO”
Questi ultimi a breve potranno verificare. La barca senza randa è realtà, e, udite udite, si prepara al giro del mondo: l’armo ideato da Vitali verrà montato su un Coco 650 con cui il russo Igor Dimov (che ha avuto modo di vederlo sul Giornale della Vela) tenterà il giro del mondo in solitario senza scalo con la barca più piccola, cercando di insidiare il record di Alessandro Di Benedetto (268 giorni di navigazione sulla stessa rotta della Golden Globe del 1968-69).

L’assenza della randa è compensata dalla presenza di un doppio fiocco rollabile. Quello più grande è armato su un bompresso che avrà la ritenuta proprio sul punto di mura. Alla fine del bompresso sarà murato il gennaker. Interessante anche la soluzione del piccolo fiocco a centro barca, che fungerà da “randa di cappa” in caso di burrasca. In copertina gli schizzi di Daniele Vitali che assicura: “Dimov avrà un doppio vantaggio: in primo luogo, un armo senza randa è più facile da gestire, in termini di dispendio di energie. Poi, dato che in un giro del mondo si naviga per la maggior parte del tempo alle portanti, questo tipo di set di vele è l’ideale per spingere al massimo”.

Daniele Vitali

IN FRETTA E FURIA
Racconta Vitali:Mentre ero In inghilterra per lo sviluppo del mio nuovo progetto “dinghy” (a breve novità) ricevo una telefonata da un certo Ivan Dimov che si dice interessato ad utilizzare lo schema di piano velico visto su GDV per la sua barca, un Coco 650, con cui tenterà il record di circumnavigazione.

Nasce così una storia atipica di rilievi, calcoli, tagli, rinforzi in un piccolo cantiere in quel di Cecina. Si parte da uno scafo esistente per volontà di Ivan che ha scelto sulla base delle caratteristiche di semplicità e robustezza costruttiva.

Questo perché la partenza é stata fissata per il 10 giugno da La Rochelle, siamo a novembre, quindi abbiamo veramente poco tempo per il progetto e ancora meno per lo sviluppo. La difficoltà sta nel prevedere tutto ma come in un set cinematografico in ritardo deve essere buona la prima!

La barca deve funzionare al primo splash. Quindi calcoli ripetuti sulla struttura, bilanciamento dei pesi (cambusa per 240 giorni, immaginate la vostra spesa settimanale al supermercato), ipotesi di scuffie di 360° da non escludere per queste dimensioni in mezzo agli oceani. Cosa si rompe, come lo riparo, quali ricambi…. Linea telefonica continua ad ogni dubbio a qualsiasi ora.

LO ZAMPINO DI CICCIO
Non meno problematico trovare chi realizzerà il rig! Mi é venuto in mente Ciccio Manzoli, conosciuto durante una Carthago (Roma-Tunisia) con il suo Tri Cotonella. Lo chiamo e spiego sommariamente la nostra follia. “Beh, si, una struttura bipode, semplificata per la barchetta, si può fare, l’idea mi piace

Ho tirato un gran sospiro perchè uno come lui “ci mette certamente del suo”e noi dormiamo un po’ più tranquilli. Ora siamo alla vigilia dell’alberatura e Minnie si fa il trucco. Alla prossima puntata.

IL DOPPIO FIOCCO
Ah, e dimenticavo: sul tema doppio fiocco ci sono altre novità: ho incontrato Silvano Volcan, giovane 4 ventenne come si definisce lui, che ha apportato nuove modifiche al suo Alpa esse aggiungendo gennaker, fiocchetto di poppa bomato, ed altre diavolerie. Un personaggio che ha moltissimo da raccontare e preparazione tecnica notevolissima”.

Cosa ne pensate di questo armo? Fateci sapere la vostra con un bel commento!

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Hanse al VELAFestival, si fa! Anche il colosso tedesco annuncia la sua presenza

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Foto di Mauro Giuffré

 

 

Sono sempre di più i cantieri che in queste ore stanno confermando la loro presenza al VELAFestival 2018, che si svolgerà dal 3 al 6 maggio a Santa Margherita Ligure. Tra questi non poteva mancare il colosso Hanse, uno dei leader indiscussi sul mercato nel settore delle barche da crociera. La produzione Hanse si distingue per un look generalmente sportivo ma senza mai dimenticare la facilità di gestione sotto tela. Barche molto comode con volumetria interna importante e su una fascia di prezzo medio bassa. Potrete scoprire tutte le novità Hanse al VELAFestival, con i rappresentati italiani del cantiere che vi guideranno alla scoperta degli ultimi modelli lanciati.

Tra quelli che abbiamo testato personalmente una menzione va sicuramente data all’Hanse 388, una barca su una fascia media di mercato che abbiamo trovato molto interessante e di cui vi riproponiamo di seguito la nostra prova.

Hanse 388

Questa barca detiene un primato: è infatti l’unico nuovo 38 piedi presentato durante i saloni. Quest’anno infatti quello dei 10 – 12 metri è stato il settore che più ha sofferto la mancanza di nuovi modelli. Ma il cantiere tedesco Hanse ha deciso di scommettere su questa fascia di mercato, mettendo in acqua l’Hanse 388 uno scafo reattivo e ben studiato che abbiamo provato subito dopo il Salone di Genova con una tramontana con punte massime di 12 nodi che ci ha permesso di testare la barca nelle varie andature registrando buone velocità e un’ottima reattività sul timone. Questo a conferma di un accurato studio delle appendici caratterizzate da una perfetta idrodinamica grazie ai timoni pre-bilanciati e chiglie a L sottili che garantiscono un migliore passaggio sull’acqua.







La matita delle linee di carena è quella dello studio Judel / Vrolijk, mentre sottocoperta il progetto è dello studio di design interno al cantiere che ha voluto il tocco di tre giovani designer italiane per rinnovare gli spazi interni. Rispetto ai modelli precedenti si è poi voluto migliorare anche le performance con un’alberatura più alta e una conseguente maggiore superficie velica con particolare attenzione all’easy-sailing nelle manovre a bordo, studiate per consentire anche a una sola persona di poter ridurre randa e fiocco nel caso le condizioni lo rendessero necessario. Altra novità sono le sedute di poppa rialzabili che liberano completamente il passaggio, aiutando a percepire la plancetta come un tutt’uno con la barca.

A un primo e veloce sguardo è subito evidente una nuova concezione delle linee di coperta dove è stata data priorità assoluta al restyling di boccaporti e finestrature di dimensioni generose ed è stata aggiunta una particolare finestratura vista cielo anche in bagno: il 388, ha ben sei finestre lungo lo scafo che inondano gli interni di luce naturale

Foto di Mauro Giuffré

 

 

Buoni gli spazi del pozzetto che sono stati pensati per favorire la vita di crociera, generosi anche gli spazi di prua e quelli liberi sulla tuga dove sdraiarsi. Sottocoperta troviamo forse l’unica pecca della barca che è pensata con un solo bagno nel layout e questo potrebbe forse penalizzarne la vendita sul mercato italiano.
Una menzione particolare va fatta per la ben riuscita scelta del colore amaranto dello scafo ottenuta attraverso la tecnica del wrap (la pellicola adesiva che copre la barca e gli da colore).
Lung. 11,4 m; larg. 3,9 M; pesc. 2,65; disloc. 8,27 t.

Per info:
Nord e Toscana: Cini & Webster | info@ciniwebster.it
Centro-Sud e Isole: Nautilus Marina | n.stillitano@nautilusmarina.com

 

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Come è fatta la tua barca? Passo dopo passo, vediamo come nasce in cantiere la tua amata

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Adagiato sulle ali che gli consentono di ruotare di 180 gradi, facilitando così l’accesso ai laminatori, lo stampo femmina illustrato nella foto ricorda un mostro del giurassico. E invece è da questo strano oggetto che prende forma una barca in vetroresina.
Per arrivare a questo step, ovvero per ottenere la matrice da cui nascerà la scocca di uno scafo, c’è già stato un gran lavoro. Si è anzitutto individuato il tipo di barca che il mercato richiede e, basandosi su quegli input, il progettista ha prodotto il disegno esecutivo grazie ai nuovi software 3D con cui si plasmano le forme e se ne valutano le prestazioni. Dopodiché quel disegno serve a realizzare il modello, un finto scafo che un tempo era in legno e ora, con le nuove tecnologie della fresatura a controllo numerico, è di polistirolo o altre schiume sintetiche. Si procede quindi a rivestire questo finto scafo con la vetroresina, si separa il rivestimento ed ecco ottenuto lo stampo femmina, la cui forma concava servirà da matrice per realizzare scafi tutti uguali. Come si può notare dalla foto, lo stampo è irrigidito anche da barre d’acciaio per evitare deformazioni durante la catalisi della resina. Ed è costituito da due semigusci tenuti assieme da controflange imbullonate. Questo consente di aprire lo stampo ed estrarre con facilità la scocca dello scafo, una volta terminata la laminazione.


1. LA FASE INIZIALE

La costruzione inizia con la pulizia dello stampo dalle scorie della scocca precedente e dalla polvere, nemica di una buona laminazione. Quindi si procede all’applicazione del materiale distaccante, come illustrato nella foto a tutta pagina. Si tratta di una particolare cera che permette il distacco della scocca dallo stampo a laminazione finita.

Il gelcoat. Dopo aver pulito e cerato lo stampo, si provvede ad applicare lo strato di gelcoat con spessore uniforme su tutta la superficie. Il migliore è il neopentilico, che offre un’alta protezione antiosmosi.

Nei cantieri più moderni il gelcoat viene applicato a spruzzo con macchinari automatizzati, così da ottenere uno spessore uniforme su tutta la superficie. Oltre a funzioni estetiche, il gelcoat impermeabilizza il laminato ritardando la formazione di osmosi. Per questo è preferibile il tipo neopentilico, caratterizzato da un’alta resistenza all’idrolisi e ai raggi UV. Ma anche la resina impiegata nella laminazione influisce sulla protezione antiosmosi: bassa per la poliestere ortoftalica, più alta per la poliestere isoftalica, ottima per la vinilestere con cui alcuni impregnano gli strati esterni della carena. Altri adottano invece l’epossidica, che oltre a migliori caratteristiche meccaniche ha il grado più elevato di impermeabilizzazione.

Gli stress. L’analisi a elementi finiti consente di conoscere le zone più soggette a stress (in rosso) e così di scegliere e orientare i tessuti di fibra. Così si preparano le pezze di tessuto, tagliate secondo necessità, da porre nei punti di maggior sollecitazione.

Vinilestere ed epossidica hanno un altro vantaggio: il loro forte potere adesivo evita l’utilizzo del mat (un “feltro” con fibre di vetro spezzettate e quindi con scarse qualità meccaniche) che viceversa, con le resine poliesteri, si deve applicare tra un tessuto e l’altro per ottimizzarne l’incollaggio. A parità di robustezza, il laminato senza mat risulta più leggero. Riguardo ai tessuti, molti utilizzano i biassiali o i multiassiali di vetro (le fibre sono disposte con due o più orientamenti) di alta grammatura. In questo modo, con pochi strati si ottiene lo spessore desiderato.

Laminazione a mano. La laminazione manuale della vetroresina comporta un’alternanza di resina spruzzata con una speciale pistola che impregna una serie di tessuti di fibra, poi compressi con speciali rulli e pennelli dall’operatore.

Altri applicano un maggior numero di strati ma di grammatura inferiore, talvolta composti da tessuti unidirezionali, ovvero con le fibre disposte in una sola direzione che è quella del carico. Ciò comporta costi di produzione più alti, ma offre una migliore qualità. Da tenere presente che la robustezza di un laminato dipende dalla quantità di fibra e non di resina.

L’infusione. Gli strati di tessuto vengono messi a secco sullo stampo, poi si applica un telo di plastica. Aspirando l’aria sotto il telo con una pompa, la resina penetra tramite vari tubicini tra le fibre, impregnandole. Così lo scafo è più leggero.

Ed è questo uno dei motivi per cui molti cantieri stanno passando alla tecnica dell’infusione. Grazie a questo metodo, che in realtà nasce per limitare l’emissione di sostanze tossiche in fase di laminazione, si arriva al 35% di resina e 65% di fibra. Percentuali irraggiungibili con la laminazione manuale, dove è già molto ottenere un 50% di resina e 50% di fibra.

Incollata bene. Alla pelle esterna dello scafo vengono applicati dei pannelli
di “anima leggera” che poi verranno incollati con la tecnica del sacco a vuoto.

2. IL SANDWICH
Alcuni cantieri adottano la laminazione a pelle singola (detta anche laminato pieno), ovvero una serie di strati di fibra impregnati di resina a formare un grosso spessore. Altri usano invece la laminazione a sandwich, dove tra due sottili pelli di fibra di vetro e resina (due sottili laminati pieni) viene interposta un’anima leggera che può essere di balsa o di schiuma in Pvc a cellula chiusa (Termanto, Airex ecc).

Si prepara il sacco a vuoto. Incollata l’anima del sandwich sulla murata con un adesivo speciale (bonder di solito a base epossidica), si sovrappone il telo di polietilene, sigillando con cura il suo perimetro con biadesivo per renderlo a tenuta ermetica

La tecnica del sandwich, in linea teorica, offre i maggiori vantaggi: il laminato è infatti molto più leggero, più rigido alla flessione e infine più coibente sia termicamente (minore formazione di condensa) che acusticamente. Resta un solo limite che è quello della possibile delaminazione (distacco) dell’anima dalla pelle esterna. Ormai quasi tutti i cantieri incollano l’anima con la tecnica del sacco a vuoto.

Sotto il telo trasparente si nota un tubo che corre lungo la murata: da esso, collegato a una pompa del vuoto, viene aspirata l’aria e questo comprime il telo sull’anima del sandwich con una pressione che varia da 0,5 a 0,9 bar.

In pratica viene applicato un telo di plastica dotato di bocchettoni (come per l’infusione) sui pannelli di anima che nel frattempo sono stati incollati con particolari adesivi alla pelle esterna; prima che l’adesivo “tiri”, tramite una pompa collegata ai bocchettoni viene aspirata l’aria all’interno del telo. Questa pressione, che arriva a 0,9 bar, comprime il telo sull’anima del sandwich assicurandone una migliore adesione alla pelle esterna. Questa tecnica è una pre-condizione essenziale per limitare i rischi di delaminazione. Altra precauzione adottata su gran parte delle barche con scafo in sandwich è quella di realizzare l’opera viva (che è la zona dove si concentrano i maggiori stress) in laminato pieno, limitando il sandwich alle sole fiancate.

L’anima. Quasi tutte le barche di serie ormai sono costruite con il sistema a sandwich con anima
in balsa o in Pvc. Così si riduce peso e si migliora la coibentazione e riduce il rumore.

3. LA COPERTA
Se per lo scafo ci sono cantieri che preferiscono le tecniche tradizionali, per la coperta si assiste a una graduale omologazione degli standard costruttivi. Salvo rare eccezioni, tutti adottano il sandwich e le ragioni sono le stesse espresse nelle pagine precedenti.

Il ciclo di infusione di una coperta. Le tubazioni di colore verde stanno diffondendo la resina (macchie più scure), che è aspirata dal vuoto creato sotto il telo dalla pompa. La resina in eccesso viene eliminata.

Figuratevi se in coperta non sia importante risparmiare peso (che si traduce in un abbassamento ancor più sensibile del baricentro, visto che si alleggerisce la parte più alta della barca), oppure incrementare la coibentazione per avere meno calore o meno freddo all’interno, così come un rumore attenuato.

Le differenze allora si riducono al tipo di anima impiegata, balsa o Pvc, e alle tecniche di laminazione del sandwich. Partiamo dalla prima: la balsa ha un peso specifico superiore e assorbe più resina, dunque è meno leggera del Pvc, ma proprio per la maggiore resina che assorbe garantisce un incollaggio più forte con le pelli. Inoltre la sua resistenza a compressione è più alta perché le sue fibre sono perpendicolari rispetto al pannello.

Il Pvc, dal canto suo, essendo a cellula chiusa assorbe meno acqua nell’ipotesi di una frattura delle pelli. Tra i due materiali, gran parte dei cantieri preferisce la balsa. Ora le nuove tecniche. Oltre al sacco a vuoto e all’infusione, di cui abbiamo già parlato, si sta facendo strada quella dell’iniezione.

L’iniezione. All’interno dei due stampi maschio e femmina, perfettamente combacianti ed ermeticamente chiusi uno sull’altro, viene iniettata con una serie di tubazioni la resina.

Immaginate due stampi, un maschio e una femmina perfettamente combacianti: una volta spruzzato il gelcoat su entrambi gli stampi, si posizionano sullo stampo maschio i tessuti e l’anima del sandwich a secco (senza resina come avviene nell’infusione), si sovrappone lo stampo femmina, lo si chiude ermeticamente e si inietta la resina all’interno. Oltre ai vantaggi citati, la coperta è rifinita a gelcoat anche nella sua faccia interna. Così non si applica il cielino controstampato, guadagnando leggerezza e altezza sottocoperta.

Il controstampo, che ingloba madieri e longheroni, supporto motore, aggancio lande e base mobilio, è realizzato a parte e poi fazzolettato alla scocca.

4. LA STRUTTURA
Gran parte dei cantieri di serie utilizza come ossatura il controstampo che ingloba madieri e longheroni, la base d’albero, il supporto del motore e talvolta la struttura di aggancio delle lande e la base del mobilio. Il controstampo è realizzato fuori opera laminando uno stampo a parte e poi viene incollato alla scocca e fazzolettato con strisce di tessuto di fibra di vetro e resina nelle zone più soggette a stress.

La fazzolettatura. Con questo termine si indica la sovrapposizione di strati di fibra di vetro resinati sulle zone maggiormente soggette a stress, come le lande che in questo caso sono inglobate nel controstampo.

Questa tecnica ormai collaudata da migliaia di scafi naviganti (si faceva già all’epoca dell’Arpege) è stata migliorata nel tempo grazie alla maggiore precisione nella realizzazione del controstampo (si deve ai macchinari a controllo numerico) e di conseguenza ad accoppiamenti con la scocca più precisi.

Inoltre i nuovi adesivi hanno una resistenza a trazione nettamente più alta rispetto a quelli di un tempo, riuscendo così a compensare vuoti anche di alto spessore tra la scocca e il controstampo, che un tempo costituivano un problema in quanto non facevano lavorare le due unità sinergicamente.

Il primo componente montato sulla scocca completa di controstampo è il motore. Poi le tubazioni e i cavi elettrici. Dopo il motore vengono inserite le paratie in compensato marino, che sono dapprima incollate e poi fazzolettate alle murate.

Alternative al controstampo sono l’ossatura resinata direttamente sul fondo della scocca (i madieri e i longheroni sono costituiti da pezzi di Pvc vetroresinati sulla scocca) che oltre al vantaggio di costituire un corpo unico con la scocca è anche più leggera; oppure la gabbia d’acciaio galvanizzata (foto in alto a destra), una struttura che offre un’elevata rigidità pur senza utilizzo di fibre esotiche e costose come il carbonio. Punto debole di questa soluzione può essere l’eventuale collisione del bulbo contro una secca: la riparazione comporta infatti interventi che talvolta si rivelano molto laboriosi.

Si chiude. La coperta scende sullo scafo, che nel frattempo ha già le sistemazioni interne quasi completate. Non resta che rendere ben solidali i due gusci.

5. LA FASE FINALE
Come illustra la foto a lato, la coperta di una barca di serie viene assemblata allo scafo con gli interni e gran parte degli impianti quasi completati.

Questa soluzione comporta un’accurata verifica del montaggio dei componenti più ingombranti, nell’ottica di poterli rimuovere per eventuali riparazioni; ma anche un perfetto posizionamento delle paratie, che devono intestarsi sulle sedi ricavate nel controstampo della coperta. Per questo è essenziale che le paratie siano tagliate con la massima precisione.

Esemplari di uno stesso modello in fila nel reparto allestimento. Qui vengono completati gli impianti e gli interni.

All’interno di queste sedi viene iniettato adesivo strutturale che serve a incollare le paratie alla coperta. Lo stesso adesivo (oppure sigillante siliconico) è distribuito lungo la flangia perimetrale dello scafo e la giunzione con il ponte viene completata con viti Parker o bulloni passanti che si intestano su una contropiastra metallica posta sotto la flangia.

Un bulbo in piombo pronto per essere montato sulla carena.

Alcuni preferiscono vetroresinare la giunzione dall’interno, sistema più laborioso che però garantisce maggiore rigidità e impermeabilità nel tempo della zona di contatto. Ultima operazione è il montaggio del bulbo: la barca è sollevata e il bulbo, completo della sua gabbia che lo tiene verticale, trasferito sotto di essa.

I fori sullo scafo per i prigionieri sono fatti servendosi di una dima, nella giunzione tra scafo e bulbo viene applicato adesivo siliconico (tipo Sika). Poi si procede al serraggio dei dadi dei prigionieri con la chiave dinamometrica secondo le coppie fornite dal progettista. Dopo il collaudo in vasca di tutti gli impianti, la barca è finalmente pronta per la consegna.

copertinaQuesta piccola “bibbia” della costruzione delle barche, e tanti altri consigli utili, potete trovarli sul numero speciale di Vela dedicato alla Pratica e al Bricolage: un volume, questo speciale, pensato da tenere sempre a portata di mano, a casa e in barca, per togliervi dubbi o ripassare le vostre conoscenze in qualunque momento. Diviso in tre grandi sezioni (Conoscere, Navigare e Imparare), POTETE ACQUISTARLO QUI

 

 

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Se vai in Croazia, occhio alle norme e mano al portafoglio

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E’ la meta più frequentata dell’Adriatico, fa parte della comunità europea, ma attraccare in un porto croato vuol dire avere a che fare con una burocrazia (e costi) che non siamo più abituati a sopportare. Ecco punto per punto cosa va fatto, se volete andare in Croazia.

Prima di partire
Se volete essere in regola al 100% dovreste recarvi presso un ufficio della Polizia Marittima o presso la stazione dei Carabinieri (molti accettano una semplice mail) e compilare una dichiarazione dove dichiarate i dati dell’imbarcazione, le generalità dei passeggeri (compresi i dati di un documento personale), indicate data e porto di partenza, destinazione.

Al primo porto di sbarco in Croazia
In capitaneria o ufficio marittimo dovete presentare il documento d’identità e la patente (se la normativa italiana lo prevede) dello skipper/comandante/armatore, i documenti della barca (compresa assicurazione), compilare la lista dell’equipaggio imbarcato. Se la barca è a noleggio ci deve essere una dichiarazione (in croato) del proprietario dell’imbarcazione che delega il comandante alla conduzione dell’imbarcazione. Proseguiamo con le tasse da pagare. Partiamo dalla tassa di soggiorno che per le barche è forfettaria, a partire da 5 metri in su (solo se la barca è cabinata, altrimenti è gratis).


La seconda tassa da saldare viene definita “Tributo sulla sicurezza della navigazione”. E’ una tassa complicatissima che comprende quattro voci di tributo: tassa navigazione/tributo navigazione/tributo carta nautica/tributo dispositivi di sicurezza ed è divisa per fasce di lunghezza e per potenza del motore. Per fare un esempio: una barca di 12 metri con un motore da 40 cv paga circa 70 euro.

Al ritorno in Italia
Bisogna recarsi in un qualsiasi ufficio marittimo o capitaneria per chiudere la procedura dichiarando l’uscita dalla Croazia. Va fatto perché se tornate in Croazia e non avete dichiarato l’uscita, incorrete in una denuncia.

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TENDENZE Tutti quanti vogliono fare catamarani. Ecco perché

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catamaraniIl freschissimo annuncio della partnership tra il colosso Hanse e Privilege, cantiere francese specializzato nei catamarani top di gamma, conferma ancora una volta una tendenza incontrovertibile: la crescita costante delle quote di mercato dei multiscafi da crociera, che dicono gli studi, entro il 2022 rappresenteranno il 50% del totale del mercato della nautica a vela.

I grandi produttori, specializzati in monoscafi, seguono il mercato e aggiungono il tassello mancante alla loro offerta, acquisendo il know-how degli storici marchi di multiscafi.

IL SEGNO DEI QUATTRO
L’accordo Hanse-Privilege segue di pochi giorni quello economico/commerciale tra gli storici cantieri francesi Dufour e Fountaine Pajot, che ha creato così un gruppo quotato alla borsa di Parigi da oltre 150 milioni di euro che sforna centinaia di barche all’anno (ve ne abbiamo parlato qui). Si sta andando così a delineare una situazione di mercato con quattro grandi colossi “mono-multi”. In principio fu Beneteau, che già nel 1996, con l’acquisizione di Jeanneau, si assicurò anche il marchio Lagoon. Nel 2014 Bavaria “fiutò” la tendenza, acquisendo il cantiere Nautitech. In questo 2018, poi è stata una vera propria esplosione.

COSA ACCADRA’?
Questa “concentrazione” che ripercussioni avrà sul mondo della crociera? Ancora presto per dirlo. Resta il fatto che il boom dei multiscafi è un fenomeno inaspettato che lascia spiazzati noi della vecchia guardia nati in un mondo in cui una barca era un monoscafo e i multiscafi erano una nicchia riservata a barche da spiaggia, derive da regata e, al massimo se cabinati, adatti al noleggio. Ci eravamo sbagliati.

STREGATI DAI MULTI
Ce ne siamo resi conto quando siamo saliti a bordo, lo scorso settembre, su di un catamarano da crociera di ultima generazione. A parte l’ovvia considerazione sullo spazio in più che a parità di lunghezza (ma è largo quasi il doppio) riserva un catamarano rispetto ad un monoscafo, ci ha stupito l’evoluzione nelle prestazioni veliche. Noi, che pensavamo ancora che avremmo sofferto un’andatura di bolina penosa, che virare sarebbe stato difficile, che quel dondolio anomalo ci avrebbe portato un po’ di mal di mare.

Ci siamo dovuti ricredere. La nuova generazione di catamarani da crociera sfata questi pregiudizi da vecchi amanti dei monoscafi. Anche per questo i catamarani da crociera hanno così successo e stanno conquistando quote di mercato anche tra gli armatori e non solo tra le flotte di barche da noleggio.

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Bufera sul porto di Livorno, cacciate centinaia di barche. Ma forse c’è una soluzione

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Forse si avvia ad una soluzione la battaglia a Livorno che contrappone i circoli nautici al gruppo Azimut/Benetti. Motivo del contendere il progetto del nuovo mega porto turistico da 700 posti (con grandi spazi riservati ai superyacht) nella zona del Porto Mediceo che partirà in autunno. Le oltre 300 barche di circoli che attualmente occupano lo specchio acque dove sorgerà il mega marina di proprietà di Azimut/Benetti, sono state sfrattate. Il progetto le avrebbe ricollocate nel Molo 75, adesso adibito al transito delle navi. Una lunga banchina dove e’ praticamente impossibile, così com’è, l’ormeggio per le barche da diporto a causa di una costante e forte risacca.

Anche il sindaco di Livorno Nogarin e’ sceso in campo per fermare il progetto di trasferimento al Molo 75, definendolo pazzesco, usando parole come «Gliel’ho già detto apertamente in tante situazioni (ad Azimut/Benetti, ndr), è bene che si mettano a confrontarsi con una città che li manderà via a pedate nel culo se continuano a andare avanti così».

Le ultime dichiarazioni rilasciate dal contrammiraglio Tarzia, direttore marittimo della Toscana, aprono uno spiraglio alla guerra che contrappone i circoli “sfrattati” al grande gruppo Azimut/Benetti. Il Contrammiraglio ha affermato che viene definitivamente abbandonata l’ipotesi di spostare le barche del Mediceo alla banchina 75 e si ipotizza di trasferirne il più possibile in Darsena Nuova, dove verranno sistemati pontili galleggianti e assicurati ormeggi per buona parte delle barche da trasferire dal Mediceo in modo da liberare progressivamente le aree destinate ai lavori per il Mediceo.

Il seguito alla prossima puntata.

Fonte immagine: http://www.consorzionauticolivorno.it

 

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PROVATA. Saffier Se37, come una Lamborghini ma a vela. VIDEO e FOTO

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Saffier Yachts SE 37

Ma chi se ne frega di quanto spazio c’è all’interno, di quanto è comoda la cucina, di avere cinque bagni e dodici cabine. Se il vostro obbiettivo è la vela “dura e pura”, il piacere ancestrale di issare le vele e accellerare anche in due nodi di vento, dovete assolutamente leggere le righe che seguono ovvero il racconto della nostra “gita” in Olanda per provare il nuovo Saffier Se 37.

Siamo andati a Ijmuiden, circa 30 chilometri a nord di Amsterdam, per visitare il quartier generale Saffier Yachts e provare tutta la gamma. In realtà il modello che ci interessava era appunto il nuovo 37, dato che il 33 (barca con la stessa filosofia) è stato varato un paio di stagioni fa così come le altre della gamma che si divide in due linee, quella classica e quella moderna.

Ad accoglierci in Olanda i fratelli Hennevanger, Dean e Dennis, che con il padre Richard sono i fondatori del cantiere. Dean, genio e sregolatezza è il disegnatore della casa, Dennis la mente ma anche un ottimo velista in grado di apportare il suo tocco decisivo sui progetti. Insieme fanno un’azienda che in circa 20 anni di vita ha costruito 600 barche, collocandosi in una nicchia di mercato di lusso fatto di barche che hanno una filosofia da day sailer in stile Porsche o Lamborghini per fare un paragone con l’automobilismo.


A bordo del Saffier Se 37

Due giorni di test per provare l’ultima nata in condizioni differenti. Il primo “volo” è stato con onda corta intorno ai 50-60 cm e vento con punte massime di 10 nodi. Condizioni nelle quali la barca mostra potenza e buon passo sull’onda senza bagnare mai il ponte.

Nel modello che abbiamo provato ampio spazio a ogni tipo di automatizzazione.

Le due postazioni del timoniere, molto avanzate e con i winch primari a portata di mano, sono dotate di una sorta di consolle che permette di lascare, cazzare, avvolgere e svolgere le vele di prua, regolare le drizze, il tutto pigiando dei semplici bottoni. Un po’ strano per chi, come noi, è avvezzo a fare tutto manualmente, ma si tratta di soluzioni in perfetta linea con lo stile della barca da puro day sailer dove la facilità di conduzione e il godimento della navigazione sono assolute priorità.

In queste condizioni la barca non fa fatica a raggiungere i 7 nodi di velocità di bolina stringendo un angolo apparente fino ai 30 gradi. Nonostante il piccolo fiocco autovirante la barca non sembra mai in deficit di potenza ma probabilmente con una vela al 100% di sovrapposizione le performance sarebbero ancora migliori.

E’ però nella seconda sessione di prova che il Saffier mette in mostra delle prestazioni che ci lasciano letteralmente di stucco. Usciamo di buon mattino in condizioni di acqua piatta e brezza leggerissima, che non supera i 5 nodi. Il Saffier 37 in questa situazione si dimostra impressionante. Pareggia e supera la velocità del vento sotto Code Zero, navigando pochi decimi sotto la stessa di bolina, stringendo sempre intorno ai 30 gradi di apparente. Guardate il video che vi proponiamo sopra, è quasi irreale. Lo sappiamo, state pensando che navigavamo a motore, ma non è così. Sotto Code Zero la barca ha una capacità impressionante di produrre apparente e navigare praticamente al doppio della velocità del vento.

Numeri che qualsiasi altra barca non votata alla regata può solo sognare, ma il bello è che il Saffier 37 non è una barca pensata per la regata ma bensì per uscite giornaliere di puro divertimento e adrenalina.

Gli interni sono all’insegna del più assoluto minimalismo ma con finiture di classe. Poco, pochissimo legno, due comode e lunghe sedute utili se vogliamo anche per dormire, una cucina con fornelli elettrici (non dimentichiamo che stiamo parlando di un day sailer e la classica cucina basculante a gas sarebbe solo un peso inutile).

LA PROVA COMPLETA DEL SAFFIER 37 Se sui prossimi numeri del GIORNALE DELLA VELA VERSIONE CARTACEA

Lungh. con bompresso 12 M /td>
Lungh scafo 11 M
Lungh. al galleggiamento 10 M
Baglio 3,45 M
Pescaggio 2.10 M
Altezza linea gall.-albero 16 M
Dislocamento 4800 KG
Peso chiglia 2050 KG
Randa 43 M2
Fiocco autovirante 25 M2
Code zero 93 M2
Gennaker 115 M2

www.settemariyacht.it

www.saffieryachts.com

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Al VELAFestival arriva Salona: scoprite i cruiser racer per chi vuole vincere le regate

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Salona 380: più cruiser o più racer?

Le barche Salona sono più che versatili. Sono per i velisti che amano andare con calma, per quelli che si divertono ad andare forte e, perché no, anche per quelli che vogliono vincere. Il cantiere croato Salona Yachts ha confermato la sua partecipazione al TAG Heuer VELAFestival, a Santa Margherita Ligure dal 3 al 6 maggio, dove scoprirete l’ultima arrivata, disegnata dalla mano di Maurizio Cossutti: il cruiser racer Salona 380, parente stretto dei Salona 35 che in carriera hanno regalato ai loro armatori diversi primi posti e crociere in totale comodità.

Salona 380: più cruiser o più racer?

E’ difficile capire se l’S380 dia più importanza alla comodità o alle prestazioni. In realtà sembra una barca che non vuole rinunciare a nessuna delle due, insomma un cruiser racer a tutti gli effetti. Alle varie fasi di progettazione, chiaramente sviluppate per i parametri IRC e ORC, ha partecipato anche la mano di Maurizio Cossutti, designer di grandissima esperienza, che fa delle linee eleganti per barche veloci un vero e proprio credo. Linee sportive ed essenziali, leggermente arrotondate rispetto agli altri yacht Salona, fanno subito pensare ad una barca veloce e divertente.

Il segreto vincente di S380 sono le tecniche di costruzione del cantiere che punta sulle ultime tecnologie come l’infusione sottovuoto, procedimento realizzativo che permette di avere barche più leggere e più solide, o il telaio in acciaio inossidabile soluzione che non ha pari in quanto a prestazioni, comfort e ultimo, ma non per importanza, sicurezza in mare. Se scendiamo sotto coperta scopriamo dove si concretizza veramente l’equilibrio tra crociera e perfomance. Cosa non manca sicuramente nella dinette del Salona 380 sono lo spazio e la luce naturale, che filtra dalla grande area vetrata della barca. L’interno di questo cruiser racer è caratterizzato da una cucina a forma di L e un salone a forma di U. Le cabine, due o tre a scelta, vengono riempite dagli sconfinati letti queen-size, non particolarmente performanti, ma decisamente comodi.

www.salonayachts.com









Scheda tecnica Salona 380

    • Lunghezza fuori tutto: 11,60 metri
    • Lunghezza al galleggiamento: 10,01 metri
    • Larghezza massima: 3,72 metri
    • Pescaggio: 2,1 metri
    • Superficie randa: 44 m2
    • Superficie genoa: 36 m2
    • Superficie velica totale: 80 m2
    • Design: Cossutti Yacht Design

 

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Bavaria, falsi allarmi. La produzione prosegue a pieno regime

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Allarme rientrato per il cantiere tedesco Bavaria, la produzione continua a pieno regime, il portafoglio ordini è pieno. Il problema oggi, paradossalmente, è proprio quello. Come afferma un comunicato del produttore, è “smaltire un elevato numero di imbarcazioni ancora da consegnare”. Nel 2017 Bavaria ha venduto circa 1.000 barche, tra monoscafi a vela e a motore e catamarani.

Nei giorni scorsi notizie allarmistiche erano circolate su siti italiani, destituite di fondamento, che parlavano di istanza di fallimento della società. Nulla di più falso. Il cantiere si è rivolto al tribunale per richiedere quello che in Italia si chiama “concordato in continuità”, che permette di gestire la massa debitoria, sorvegliati da un rappresentante del tribunale.  

Bavaria non attraversa una crisi produttiva e di prodotto, ma difficoltà societarie causate dall’elevato debito accumulato negli anni e dell’insoddisfazione dei risultati economici degli azionisti di maggioranza, i fondi d’investimento Oaktree Capital e Anchorage Capital, che acquistarono nel 2009 la società da un altro fondo, Bain Capital.

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PROVATA. Amel 50, quando il giro del mondo può essere per tutti

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©Jean-Sébastien EVRARD

La scelta di una barca a volte è una questione di orizzonti più o meno ampi. L’Amel 50 ha uno sguardo lungo, lunghissimo, verso la grande navigazione d’altura. L’Amel 50 è una barca concepita per portare i suoi armatori intorno al mondo con tutta la facilità di gestione che ha caratterizzato da sempre la produzione di questo storico cantiere francese.

Una barca che ha fatto discutere, perché si tratta del primo sloop dopo una lunga tradizione fatta di ketch. Il perché di questa scelta sta almeno in due ragioni: la prima è una ragione puramente di marketing, per proporre una novità che possa attirare anche un pubblico nuovo, più giovane o preveniente anche dalle barche a motore. La seconda motivazione è meramente pratica: un albero singolo è comunque più semplice da gestire rispetto a due e per una barca che si pone come obiettivo portare i suoi ospiti in giro per il mondo non è una cosa da poco.

Di bolina con 15 nodi verso un groppo. Foto Giuffrè/Giornale della Vela

Non poteva mancare poi uno dei marchi di fabbrica Amel, il pozzetto centrale riparato dall’hard top e dotato di una finestratura continua sotto la quale trova riparo la timoneria. In pratica in qualsiasi condizione di vento e mare potrete condurre la barca totalmente all’asciutto e tenendo sotto controllo tutte le manovre. Tutto infatti è rinviato in pozzetto, a parte la regolazione di fino delle drizze delle vele di prua, che si effettua dall’albero con dei winch dedicati.

Nel modello che abbiamo provato spazio alla massima automatizzazione, con winch elettrici harken che consentono di manovrare anche con brezza tesa senza problemi.

La giornata che ci ha offerto Hyères è stata particolarmente perturbata, con un vento che da una base di 15 nodi è salito a oltre 25 sotto un groppo, consentendoci di testare l’Amel 50 nelle condizioni che preferisce. Abbiamo provato la bolina con randa e genoa, la bolina larga con randa, genoa e trinchetta, e ancora la bolina solo con randa e trinchetta quando il vento ha rinforzato intorno e oltre i 20 nodi.


Una precauzione quest’ultima quasi eccessiva, dato che la barca ha una certa facilità a tenere tutta la tela anche con vento intorno o superiore ai 20 nodi, ma con la trinchetta autovirante si ha l’ulteriore comodità di non dovere manovrare nulla in fase di virata, e quando il vento sale, nell’ottica di una lunga navigazione, è qualcosa da tenere in conto.

TUTTI I NUMERI E I PARTICOLARI DELL’AMEL 50 SUI PROSSIMI NUMERI DEL GIORNALE DELLA VELA VERSIONE CARTACEA

Mauro Giuffrè

www.sailaway.it

 

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Bruzzone, il maestro d’ascia che fa da “cicerone” ai giovani

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Il maestro d’ascia Rocco Bruzzone

Vi siete mai chiesti come si costruivano un tempo le barche? Le tecniche di lavorazione del legno, la manualità dei maestri d’ascia, artigiani con un’esperienza sconfinata che con le mani trasformavano il legno in imbarcazioni.  Oggi queste figure sono quasi totalmente scomparse perché i procedimenti si sono meccanizzati e i materiali si sono evoluti ed il rischio è che questa preziosissima tradizione marinaresca finisca dimenticata. Uno degli ultimi maestri rimasti è Rocco Bruzzone che dopo tanti anni di attività è determinato a tener viva la storia della sua professione.

E’ per questo motivo che dal 28 aprile al 1° maggio 2018, in Marina di Varazze, potrete partecipare alla mostra “Dal legno alla vetroresina – Tecniche di costruzione delle imbarcazioni” che Bruzzone ha organizzato con il Museo del Mare ed il suo presidente, Lorenzo Bolla. Non sarà solamente una visita della serie “guardare, ma non toccare”, ma una vera full immersion pratica nella cantieristica “vecchia e nuova scuola”. Un modo per coinvolgere i giovani, purtroppo sempre più lontani da quel mondo in cui ci si sporca le mani, a cui Bruzzone farà da “cicerone”, dandogli l’occasione di partecipare e osservare le fasi di lavorazione, comprese le moderne procedure per la posa della vetroresina, che oggi in alcuni casi è addirittura robotizzata.

Un percorso ricchissimo di passione e storia, durante il quale il maestro d’ascia attingerà al suo bagaglio di conoscenze dal valore inestimabile, acquisite navigando sul Cacciatorpediniere San Marco, nel lavoro ai cantieri navali Mostes e poi nelle realtà più note della Liguria. Nel corso dei molti anni di lavori, il Bruzzone ha costruito anche una goletta di dodici metri e recentemente ha restaurato la storica Pandora, fedele riproduzione di un postale dell’Ottocento.

Alla mostra non mancheranno supporti video a illustrare l’evoluzione tecnologica delle moderne lavorazioni, portandoci fino ai giorni nostri. La mostra rimarrà aperta dalle 10.00 alle 19.00 per tutte e tre le giornate.

 Giuseppe Boniventi

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Piccole, veloci e carrellabili: Seascape sbarca al VELAFestival

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Piccole, veloci, carrellabili e adatte a tutti. Sono le barche Seascape che potrete ammirare al VELAFestival di Santa Margherita Ligure dal 3 al 6 maggio. Perfette per un campeggio nautico, come il Seascape 24, o per la scuola vela, ma anche divertenti e adrenaliniche come il Seascape 14, l’ultima arrivata che è una vera e propria deriva ed è stata presentata al Salone di Dusseldorf e di cui avevamo realizzato una ricca anteprima che vi riproponiamo di seguito.

Seascape 14

Versatilità. Questa è la prima caratteristica che si riconosce osservando i disegni del nuovo Seascape 14. Questa nuova imbarcazione del cantiere sloveno, che per la prima volta nella sua storia lancia sul mercato una deriva, è infatti pensata per essere portata sia in doppio che in singolo. Ma non solo: si è pensato anche a renderla semplice e facile per i principianti proponendo tre diverse configurazioni del piano velico.

Il piano velico completo di fiocco, randa e gennaker su bompresso retrattile, può trasformarsi con due semplice mosse nella configurazione solo randa, rollando il fiocco e spostando la deriva nella cassa più a poppa (la barca è infatti dotata di due casse per la deriva).

Questa imbarcazione va a infilarsi in un mercato delle derive molto affollato dove troviamo come competitors imbarcazioni di grande successo sia singoli che doppi come il Melges 14, il 29er, il Laser, il 420, l’RS Aero. E allora vi proponiamo un’interessante tabella che mette a confronto i dati tecnici di queste imbarcazioni.

Il progetto dello scafo è di Sam Manuard che ha disegnato un’imbarcazione stabile e performante ma anche facile da gestire. Il Seascape 14 fa poi della leggerezza (lo scafo pesa solo 67 chili) uno dei suoi punti di forza che regaleranno ai timonieri l’emozione della planata facile. Grande attenzione è stata poi dedicata alla stabilità longitudinale della barca che permette di avere due grandi vantaggi: da una parte evita facili ingavonamenti e dall’altra aiuta a entrare facilmente in planata.

Facile da trasportare sul tetto dell’automobile, il Seascape 14 è anche dotato di ruote removibili che eliminano gli scomodi carrelli per mettere in acqua la barca.

www.thinkseascape.com
info@seascapeitalia.it

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Poco più di 12 ore per trovare Aldo e Antonio, i due velisti dispersi in Atlantico. E poi?

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Mancano poche ore prima che Alpino, la fregata della Marina Militare, abbandoni la ricerca dei due velisti italiani dispersi in Atlantico, Antonio Voinea e Aldo Revello, scomparsi dal 2 maggio, giorno in cui hanno lanciato un segnale di emergenza con l’Epirb del Bright, l’Oceanis Clipper 473 che i due stavano trasferendo dalle Azzorre a La Spezia.

Da ieri mattina alle 9.00 la fregata multi-missione Alpino aveva modificato la sua rotta per partecipare alla ricerca, mettendo a disposizione le proprie strumentazioni all’avanguardia, particolarmente adatte alle operazioni di ricerca e soccorso, compreso l’elicottero SH90 presente a bordo.

Poco più di 12 ore per trovare Aldo e Antonio, i due velisti dispersi in Atlantico. E poi?

Il tempo a disposizione della nave si sta però esaurendo, perché ad ora l’impiego programmato per Alpino nella ricerca sono 48 ore. Ne rimangono dunque poco più di 12 ore prima che la fregata torni alla sua rotta iniziale. Intanto la responsabilità del coordinamento delle ricerche nell’area è già tornata ad una nave portoghese. Alpino ha analizzato esplorato oltre 1600 miglia quadrate di mare, con il supporto dell’elicottero imbarcato a bordo che ha volato per circa 12 ore, senza però rilevare nulla.

Le ricerche da parte della Marina Portoghese erano state sospese appena dopo tre giorni. Ma a seguito delle pressioni da parte del Ministero degli Esteri, imbeccato anche dal popolo del web che chiedeva a gran voce la ripresa delle perlustrazioni, anche i lusitani sono tornati al lavoro. Resta da capire cosa sia veramente successo ad Antonio e ad Aldo in quel pomeriggio del 2 maggio. (noi avevamo provato a ricostruirlo qui). Pare che anche il CNR – Consiglio Nazionale delle Ricerche – abbia dato il suo contributo con l’idrografico portoghese per cercare di  risalire alla posizione in cui la zattera alla deriva potrebbe essere finita.

Ma adesso tutti si chiedono, chi continuerà le ricerche di Antonio e Aldo quando domani alle 9.00 la nave Alpino sarà tornata alla sua rotta e i portoghesi fermeranno le perlustrazioni?

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Il futuro del motore elettrico inizia dalle regate. Ecco l’esempio

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Come non averci pensato prima a usare la propulsione totalmente elettrica su una barca da regata? Il miliardario 52enne svedese Niklas Zennstrom, fondatore di Skype, per la sua nuova barca da regata pura, Ran VII di 40 piedi (12 metri), ha eliminato la propulsione tradizionale a scoppio e ha fatto installare un motore elettrico.

Nel mondo delle barche da crociera l’adozione dell’elettrico e’ ancora un problema, a causa della difficoltà con la tecnologia attuale di avere un’autonomia sufficiente a garantire lunghe navigazioni a motore (allo stato attuale, servirebbero tantissime batterie e spazi enormi), oltre al costo elevato. Invece in una barca da regata l’importante non e’ avere grande autonomia poiché le navigazioni sono essenzialmente a vela, ma il punto chiave e’ avere il massimo della leggerezza, della concentrazione del peso più in basso e a centro barca possibile.


Così Zennstrom si e’ presentato dal progettista Shaun Carkeek, sudafricano con studio a Maiorca, e gli ha imposto per la sua nuova barca l’adozione del motore elettrico. Detto e fatto
. Afferma il miliardario svedese, dopo i primi test in acqua: “Non c’è dubbio che il futuro per le barche da regata sia la propulsione elettrica: è più leggero, meno resistente, più silenzioso e, soprattutto, ecologico. Certo, altre aziende hanno realizzato sistemi elettrici ma  nessuno sta facendo quello che abbiamo fatto in termini di ottimizzazione del sistema sul lato delle prestazioni, ed è proprio questo che è piuttosto unico”.

Per arrivare a questo risultato si sono ispirati all’uso dell’elettrico che fanno flotte pescherecce sostenibili a Pondicherry, in India. Ma soprattutto Zennstrom ha attinto alla tecnologia di un’altra sua azienda, Lilium Jet che sta sperimentando una propulsione per il primo aereo a decollo verticale “all electric” del mondo. Entusiasta afferma: “Con la tecnologia e i materiali delle batterie emergenti, il settore del settore sta accelerando quotidianamente, il peso cala e aumenta la capacità di immagazzinare energia”.


Il progettista Carkeek ci ha preso gusto dopo questo esperimento riuscito, sta lavorando su una serie di motori elettrici di diverse dimensioni
per vari yacht da regata e sta cercando di sviluppare una gamma di sistemi di propulsione con eliche retrat tili e propulsori direzionali.Lo stesso percorso che parte dalla competizione lo sta facendo il mondo dell’automobile con le monoposto di Formula E  che sta riscuotendo grande successo a discapito della Formula 1 tradizionale.

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Velisti dispersi, ancora nessuna notizia. E il tempo scorre…

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Ancora nessuna novità sui due velisti dispersi nell’oceano Atlantico, Antonio Voinea e Aldo Revello, che dal 2 maggio sono scomparsi tra le Azzorre e lo Stretto di Gibilterra.

Nel frattempo la fregata multi-missione Alpino, nave della Marina Militare italiana, ha abbandonato la zona, ritornando sulla sua rotta, dopo aver trascorso 48 ore nell’area di ricerca perlustrando oltre 5000 miglia nautiche quadrate con il supporto di un elicottero militare e dei sistemi radar di cui è equipaggiata. Alla ricerca ha dato il suo contributo anche il Consorzio toscano Lamma che ieri ha elaborato un modello sull’ipotetica posizione che la zattera potrebbe aver raggiunto.

“La difficoltà – ci ha spiegato Stefano Taddei di Lamma – sta nel fatto che i dati a disposizione sono pochi ed i modelli individuano solo una posizione ipotetica. Per le ricerche nell’oceano bisogna fare riferimento a modelli globali, che hanno una risoluzione piuttosto bassa e più passa il tempo, più l’area diventa grande. In queste condizioni la posizione potrebbe essere anche molto diversa da quella che siamo riusciti ad individuare con i nostri strumenti, ma è comunque una base rispetto alla ricerca alla cieca nell’Oceano.”

La speranza di ritrovare Aldo e Antonio è ora nelle mani di una nave portoghese, che continua incessantemente a navigare nella zona alla ricerca della zattera con i velisti.

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Velisti dispersi, l’appello di Ciccio Supparo: “Fateci usare i satelliti!”

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Mentre una nave portoghese continua le ricerche di Antonio Voinea e Aldo Revello, velisti dispersi dal 2 maggio nell’oceano Atlantico, le perlustrazioni non hanno ancora portato a novità, anche per la difficoltà di calcolare la posizione della zattera, come ci hanno spiegato i ragazzi di Lamma (CLICCA QUI).

Nave Alpino, la fregata multi-missione della Marina Militare, ha concluso le operazioni di ricerca (CLICCA QUI) e ora le speranze ruotano tutte intorno alla nave portoghese. Per questo vogliamo condividere con voi la riflessione/appello del velista Ciccio Supparo che in questa lettera chiede l’intervento dei satelliti per aiutare i soccorritori a trovare Aldo e Antonio.

Pietro “Ciccio” Supparo

Ciao a Tutti.

Da giorni, chi va per mare, e non solo a vela, è angosciato nel profondo di sé stesso per la sorte dei due velisti. Angosciati perché sono persone normali, come noi, che vanno per mare per la sua bellezza, per le emozioni continue che ti può dare, con una barca molto normale, e con la voglia di navigare bene, in pace, per il puro piacere di farlo.

Le parole dell’ultimo filmato, non fosse per la situazione, danno a tutti un senso di gioia e di apertura alle sensazioni più belle, che ci riportano esattamente a rivivere i NOSTRI momenti più belli vissuti in navigazione, esattamente come loro due. E se pensiamo, come tutti ci auguriamo, che forse sono in vita, su una zattera, in mezzo all’Atlantico così sconfinato, soli, anzi solissimi, nell’acqua fredda del fondo gommato della zattera, con addosso cerate fradice e gelate, e fame, e sete, che pur non si possono placare per razionare al massimo quanto si ha… beh, … il solo pensiero di interrompere le ricerche, vorrei che non esistesse neanche.

Alla prima guerra del Golfo, molti anni fa, i satelliti Americani, nelle settimane precedenti l’attacco, avevano creato il proprio “registro automobilistico Iracheno”, perché, leggendo addirittura targhe e modelli di tutti gli automezzi circolanti, sapevano esattamente quale fosse tutto il parco veicoli della nazione avversaria prima di iniziare la guerra.

Sono passati molti anni, e la tecnologia ha sicuramente fatto passi da gigante, o anche più. I satelliti hanno registrato il volo del 747 Malese disperso in mare ..Sicuramente hanno anche registrato quanto avvenuto al Bright. E allora, si tratterà di buona volontà, di essere in tanti a chiederlo, di far sentire forte la voce, ma … chiediamo forte l’aiuto di chi governa i satelliti. E facciamolo subito, perché loro due sono là, soli, anzi solissimi, in mezzo all’Atlantico cosi’ sconfinato, al freddo, con addosso cerate fradice e gelate.”

Grazie.

Pietro “Ciccio” Supparo

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Concluse le ricerche ufficiali di Aldo e Antonio: ora serve un miracolo

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Non ci sono più navi impegnate ufficialmente nella ricerca di Aldo Revello e Antonio Voinea, i due velisti italiani dispersi nell’oceano Atlantico. Sono passati ormai 10 giorni da quando dal Bright, l’Oceanis Clipper 473 su cui navigavano, è partito il segnale d’emergenza lanciato attraverso l’Epirb. Da quel momento non si è più avuta nessuna notizia di loro e nonostante le perlustrazioni della Marina Militare italiana in sinergia con quella portoghese, dei due velisti dispersi non si sa ancora nulla.

Le ricerche mirate sono state concluse sia da nave Alpino, fregata multi-missione della Marina italiana che con il suo elicottero di bordo ha setacciato oltre 5000 miglia nautiche quadre, che dall’ultima nave portoghese che ha navigato fino a ieri per trovare Aldo e Antonio.

Alla termine delle operazioni è stato lasciato un “warning”, un avviso ai naviganti che transitano nella zona a prestare attenzione se dovessero vedere elementi riconducibili al naufragio o alla zattera. Nonostante il grande impegno messo in campo dalle Marina italiana e da quella portoghese, in collaborazione con diversi enti, tra cui quelli specializzati in modelli meteo, le difficoltà della ricerca (CLICCA QUI) hanno reso vani tutti i tentativi fatti per trovare Aldo e Antonio.

Pare che un gruppo di velisti si stia organizzando per andare alla ricerca dei due ragazzi dispersi in mare, ma la complessità aumenta ogni giorno che passa e ora più che mai serve davvero un miracolo.

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“Non ha senso fermarsi ora”. La moglie di uno dei velisti dispersi cerca altre strade per trovarli INTERVISTA

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Mentre Italia e Portogallo hanno concluso le ricerche ufficiali di Aldo Revello e Antonio Voinea, i due velisti dispersi nell’oceano Atlantico dal 2 maggio scorso, Rosa Cilano – compagna di Aldo – non si arrende e insiste nel suo appello affinché si riprenda a cercare i due ragazzi.

Mentre la situazione è bloccata, Rosa ci ha spiegato di come sta provando a percorrere vie alternative, rivolgendosi a società private che siano in grado di condurre operazioni che portino ad individuare Aldo e Antonio. Intanto su Facebook è partita una raccolta fondi (CLICCA QUI per vedere la pagina) per riuscire a finanziare queste operazioni di ricerca privata, come ad esempio l’uso di satelliti, che in mezza giornata ha raccolto oltre 5000 euro con l’obiettivo fissato a 100.000 euro. 

“Al momento non sto avendo nessun riscontro da parte dello Stato – ci ha raccontato Rosa al telefono – e sono ben consapevole che è già stato fatto tanto, ma in questo momento non ci sono i presupposti per interrompere le ricerche. Alla luce dei dati che abbiamo è molto probabile che i ragazzi siano riusciti a tirar fuori la zattera e a salire a bordo.”

Inizialmente le ricerche erano state avviate da una nave portoghese che dopo appena tre giorni aveva completato il protocollo ed era rientrata alla base. Dopo alcune pressioni e la mobilitazione sul web e non solo di migliaia di persone le operazioni erano state riprese e ad una nave portoghese si era affiancata anche la fregata Alpino della Marina Militare italiana, che aveva deviato dalla sua missione per 48 ore, tra il 7 e l’8 maggio (CLICCA QUI). Dopo il ritorno di Alpino sulla sua rotta, l’11 maggio anche la nave portoghese ha abbandonato la zona delle ricerche.

Io non voglio accusare né mettermi contro nessuno – ha specificato Rosa – perché sono consapevole che qualcosa è stato fatto, ma allo stato attuale delle cose niente ci fa pensare che essi non abbiano avuto il tempo di aprire la zattera. Ci servirebbe ancora aiuto per cercare i ragazzi e io continuo ad aspettarlo.”

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Addio a Willy Persico, il genio delle grandi barche che ogni velista sogna

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Si è tolto la vita nella notte del 12 maggio Guglielmo Persico, detto Willy, 79 anni, imprenditore e ingegnere navale, notissimo nel mondo della vela. Alla base del gesto estremo che il patron del cantiere Southern Wind ha compiuto nella sua villa di Sant’Ilario (Genova), ci sarebbero stati problemi di salute. Persico è stato uno dei personaggi più influenti della cantieristica mondiale con le sue grandi barche a vela di lusso “per navigare, più che per apparire”, che hanno solcato i mari dal Mediterraneo all’Antartide: e che, va ricordato, non hanno mai tradito la propria anima di “vere barche a vela”.

Prima di una retrospettiva di quelle che sono state le barche “capolavoro” del cantiere con base a Cape Town (Repubblica Sudafricana), le barche sogno di ogni velista, vi proponiamo l’intervista che avevamo realizzato con lui qualche tempo fa nel suo studio genovese.

Nato a Milano nel 1939, Persico si era laureato nel 1963 in ingegneria chimica a Napoli, poi ha vissuto tra Milano, Londra e Genova. Era stato capo dell’ufficio approvvigionamenti di greggio della Sir, il colosso petrolchimico di Angelo Rovelli, poi socio e vicepresidente di Cameli Petroli, responsabile dell’attività di trading. Era stato presidente dei Cantieri navali Rodriquez. Nel 1990 aveva fondato Southern Wind, di cui era amministratore delegato.

LA NOSTRA INTERVISTA A WILLY PERSICO

Un altro milanese nella nautica…
Macché milanese, io a Milano ci sono nato, è vero, ma per errore. La mia è una famiglia napoletana da generazioni, a due anni vivevo già a Napoli.

Ma veniamo a Southern Wind. Anche perché l’inizio della storia è inusuale.
Tutte le belle storie hanno alla base una buona dose di incoscienza. In effetti stavo cercando un cantiere che si occupasse della costruzione di un 73 piedi disegnato da Ron Holland per me e di un 72 piedi disegnato da Farr per un amico. Così decisi di esplorare fuori dall’Italia cantieri più competitivi. Trovai in Sud Africa quello che mi sembrava il miglior rapporto qualità-prezzo. Ma durante le costruzioni il cantiere entrò per diversi motivi in grande difficoltà. Decisi pertanto di rilevarlo. E così nacque Southern Wind Shipyard.

Come fece, quando ancora non eravate una realtà consolidata come oggi, a far superare un iniziale scetticismo dei potenziali clienti a comprarsi una barca fatta in Sudafrica?
Due ragioni principali, direi. La prima è sicuramente la qualità: progettuale e di costruzione. Le prime barche erano firmate da Bruce Farr, una garanzia assoluta. La seconda il prezzo: nei primi tre anni di vita del cantiere godevamo di un contributo del governo sudafricano che ci ha consento di proporre prezzi davvero competitivi.

Che realtà è oggi Southern Wind Shipyard?
Southern Wind Shipyard è un cantiere moderno, che si sviluppa su 17 mila metri quadri, con 329 dipendenti tra operai nei reparti di laminazione, falegnameria, allestimento, impiantistica e verniciatura, oltre agli impiegati e i dirigenti negli uffici tecnico, acquisti, amministrazione, finanza e controllo gestione. Nel giro di pochi anni la produzione è aumentata da una a tre barche all’anno e abbiamo sviluppato nuove tecniche di costruzione, passando dalla vetroresina al composito e in seguito al carbonio. Oggi la produzione custom e semi-custom conta sei modelli da 72 a 100 piedi, firmati dai più noti architetti navali e interior designer, ai quali si affiancano i nuovi progetti di 110 e 120 piedi. L’ltalian style non poteva essere meglio rappresentato, all’inizio, dal contributo di Antonio Minniti e, in tempi più recenti, di Mario Pedol e Massimo Gino con Nauta Design. Grazie a Nauta siamo entrati nel mercato di imbarcazioni maggiori e ad alto contenuto tecnologico, interpretando con attenzione le esigenze dei nostri armatori. Naturalmente, in cantiere ho voluto poi uno staff di prim’ordine che di recente si è arricchito di un uomo di grande esperienza qual è Luciano Scaramuccia.

Le sue barche sono fatte per navigare e non per apparire. Mai come in questo caso possiamo dire che la forma sposa la funzione. E’ questa la sua filosofia?
Vede, io sono un appassionato velista prima che un imprenditore navale. Sono convinto che una buona barca debba essere veloce, leggera, godibilmente abitabile ma soprattutto sicura e affidabile. Elegante e classica nell’uso del legno per gli interni e nella ricercatezza delle finiture, progettata e costruita per lunghe navigazioni, dotata di sala macchine di facile ispezione e manutenzione, con quartiere equipaggio separato dalla zona armatoriale/ospiti. Per tutti questi motivi mi rivolgo solo ai migliori progettisti al mondo, rifiuto i progetti di eventuali clienti che non si allineano alle tipologie costruttive del cantiere, cerco sempre di realizzare delle mini serie per garantire progetti più affidabili e con più valore nel tempo. Non a caso siamo anche gli unici al mondo a garantire un test sail di 7.500 miglia quando le barche, consegnate a Cape Town, si dirigono verso il Mediterraneo o ai Caraibi.

TUTTI I SEGRETI COSTRUTTIVI DI SOUTHERN WIND (INFOGRAFICA)

ALCUNE DELLE PIU’ BELLE SUPERBARCHE DI SOUTHERN WIND

SOUTHERN WIND 72
Lenght over all: 21,84 m
Beam max: 5,62 m
Designers: Reichel Pugh Y.D. – Antonio Minniti – Fernando De Almeida




SOUTHERN WIND 78
Lenght over all: 23,95 m
Beam max: 5,91 m
Designers: Reichel Pugh Y.D. – Nauta Design




SOUTHERN WIND 80 DS
Lenght over all: 23,99 m
Beam max: 5,90 m
Designers: Farr Y.D. – Nauta Design





SOUTHERN WIND 93
Lenght over all: 28,40 m
Beam max: 6,80 m
Designers: Farr Y.D. – Nauta Design


SOUTHERN WIND 95
Lenght over all: 29,00 m
Beam max: 6,80 m
Designers: Farr Y.D. – Nauta Design



SOUTHERN WIND 100
Lenght over all: 30,20 m
Beam max: 6,70 m
Designers: Farr Y.D. – Nauta Design



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